Lo smartphone in classe è stato sdoganato dal ministero dell’istruzione (Miur). E, nello stesso tempo, la scuola italiana si accinge ad abbandonare il tema letterario. Quanto meno all’esame di terza media. Un sottile filo sembra legare le due novità, entrambe annunciate dal Miur (qui la circolare sul tema e qui il decalogo sul cellulare in classe presentato a “Futura” di Bologna il 18 gennaio 2018 –  foto di Elisabetta Nanni). Una fase di Futura, l'evento del Miur a Palazzo Re Enzo a Bologna in coincidenza del quale è stato presentato il decalogo sullo smartphone in classe.Il nesso? Anzi, la strategia comune che sembrano sottindere? Sta nella lotta all’analfabetismo funzionale. Non quello semplice, quello che ti impedisce di capire un testo nella vita. Bensì quello che non ti fa muovere adeguatamente in un mondo tanto più piccolo quanto più è connesso.  Non usiamo però l’espressione “mondo digitale”. Significherebbe ridurre la complessità della nostra (davvero complessa) esistenza a una sola dimensione: quella del digitale appunto.

Non è solo scuola digitale, è cambiamento

Telefoni del passato, presente e futuroTutto il mondo non sta chiuso dentro uno smartphone. Né il contrario. Non è questione neppure di usare il cellulare per fare le ricerche – che si facevano pure prima “tagliando e incollando”, solo che era su cartelloni e quaderni – o di usare una Lim, bensì di cambiare il punto di vista sulla scuola digitale. Pensare non agli strumenti in sé – Lim, pc o tablet – bensì a come innovare l’istruzione per far dialogare sempre di più scuola e “mondo”. Un cambiamento che, in questo caso, il Miur affida ai docenti. Un atto di fiducia, per certi versi coraggioso. Come se gli animatori digitali fossero stati un lievito in un ambiente nel quale, purtroppo, ci sono ancora resistenze addirittura nei confronti del registro elettronico. Non sarà un caso, quindi, che il Miur ha annunciato – in coincidenza con l’evento di Bologna (18-20 gennaio 2018) – lo stanziamento di 25 milioni di euro per la formazione degli insegnanti sulla cultura, i temi, le metodologie digitali e dell’innovazione tecnologica.

Dispositivi e prove scritte: decide sempre il prof

Al “settimo suggerimento” del decalogo si legge poi: «L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni». E saranno sempre i prof – sulla base dell’altro documento, quello sulle prove d’esame alle Medie – a scegliere in che modo dare concretezza alle alternative al tema letterario. Alternative che sono tre. O una sintesi ragionata degli elementi essenziali di un testo o una narrazione a partire da elementi scelti dal prof oppure l’argomentazione di una o più tesi. Tutto sommato qualcosa del genere c’è già alla Maturità.

Il decalogo del Miur per lo smartphone in classe presentato a Bologna in occasione di Futura,Lo smartphone in classe? Resta vietato

Non siamo dunque alle porte di chissà quali “terribili rivoluzioni”, come – leggendo certi editoriali o certe lettere ai giornali – sembrano paventare i fan della vecchia scuola. Quella con le lavagne con il gesso, i banchi di legno, il tema su Manzoni. E con il professore dietro la cattedra che ti sequestra il cellulare. Lo dimostra pure il fatto che il via libera allo smartphone in classe non è totale e incondizionato. Né riguarda solo i cellulari. «Voglio ribadire in ogni caso – ha detto il ministro Valeria Fedeli – che resta proibito, come stabilito dalla circolare del 2007 dell’allora Ministro Fioroni, l’uso personale di ogni tipo di dispositivo in classe, durante le lezioni, se non condiviso con i docenti a fini didattici». E quando accadrà sarà l’opportunità per insegnare ai ragazzi ad usare e non ad essere usati dalle tecnologie.

La coscienza ai tempi del telefonino

«Si tratta quindi – per Giovanni Boccia Artieri – non solo di sviluppare abilità tecniche ma di sostenere l’acquisizione di capacità critiche e creative. Il tutto nel pieno rispetto dell’autonomia didattica e della scelta dei docenti: sono loro a introdurli e guidare l’uso (e il non uso) in classe». Per i testi destinati a sostituire il tema letterario valgono analoghe considerazioni. «Da noi – ha scritto Andrea Gavosto su lastampa.itprevale l’idea di didattica trasmissiva, per cui quello che sostiene il docente è una verità ricevuta: non ci si allena ad analizzare criticamente tutto quello che viene insegnato». E ancora: «Ben vengano dunque le nuove prove di italiano, in un’epoca in cui siamo circondati da fake news e false retoriche: se i docenti sapranno seguire le indicazioni, avremo compiuto un passo avanti nello sviluppare la coscienza critica dei ragazzi».

Tv e cellulare, dal mezzo all’ambiente

Alzi la mano, tra i genitori di oggi, chi non è nato che la tv già esisteva. Pochi, pochissimi, quasi nessuno. La televisione è stata dipinta in passato come “cattiva maestra”. Solo il ricordo delle polemiche su Goldrake e i modelli diseducativi dei cartoni potrebbe bastare. Oggi tutta quella paura sembra scemata, parlare di media education non è bestemmiare. È una paura che però è stata rimpiazzata da quella per il cellulare. Sorte diversa non è toccata al libro a stampa. Basterebbe sfogliare “Stampa Meretrix“, gli scritti quattrocenteschi contro la stampa, per rendersene conto. “A che serve lo smartphone in classe?” ci si chiede. «Quasi tutte le classi – è la risposta – hanno in dotazione un computer, ogni scuola ha un’aula di informatica e il collegamento a internet“, osserva Angelo Petrosino, maestro e scrittore, sulle colonne di Popotus del 23 gennaio 2018. Però smarphone non è solo un mezzo di comunicazione – a differenza di tv, radio o stampa – lo smartphone è soprattutto una porta di accesso a un ambiente. Un ambiente che non resta confinato in se stesso, ma è in osmosi con la vita di tutti i giorni. Proprio come dovrebbe essere la scuola.

Ma che bel Byod (non solo con lo smartphone)

Sono talmente tanti i vantaggi di portare a scuola i propri dispositivi mobili, godendo della connessione scolastica (il cosiddetto Byod, Bring your own device), che è difficile perfino farne un elenco esaustivo. Prova a dirlo in un battuta – presa a bruciapelo – Elisabetta Nanni, formatrice sul Piano nazionale scuola digitale e membro del gruppo di lavoro Byod. Perché un docente dovrebbe dunque scegliere di ricorrere al Byod in classe? «Perché prima di tutto – risponde Nanni in chat su Facebook – lo studente utilizza uno strumento familiare: puoi usare a casa tutte le risorse che hai già utilizzato a scuola. E di conseguenza il Byod è inclusivo. E poi perché così sviluppi le competenze di cittadinanza digitale». Ma c’è una cosa importante da dire. E che magari smonta la polemica di questi giorni. A poter essere portati in classe non sono solo gli smartphone. Benvenuto è ogni tipo di dispositivo mobile che si connetta in rete. Ma forse  – agli occhi di chi vorrebbe ancora una scuola solo analogica – questo è ancor più spaventoso.