Un partito italiano ricorre al crowdsourcing per cambiare nome. L’Udc verserà infatti 5 mila dollari a chi creerà il nuovo nome del nascente “Partito della Nazione”.
Un partito italiano ricorre al crowdsourcing per cambiare nome. L’Udc verserà infatti 5 mila dollari a chi creerà il nuovo nome del nascente “Partito della Nazione”.
Un po’ gruppo di acquisto solidale. Un po’ Ikea. Un po’ web partecipativo. E soprattutto molto azienda globale, al pari di tante grandi farm delocalizzate ai quattro angoli del pianeta. Specie quelli dove il costo del lavoro è ridicolo. Myfab, il “primo” sito di produzione on demand, vorrebbe essere tutto questo. Che sia “il primo” può dircelo solo la grandeur francese. Di certo è un modo per saltare gli intermediari: i prodotti che vuoi, li scegli, li voti e l’azienda transalpina te li manda in produzione. In Cina, ovviamente. Con risparmi clamorosi (fino al 70%). Ma anche tempi biblici per la consegna (9 settimane in media per tornare dall’estremo oriente. Vantaggi tutti questi, comunque, rispetto ai prodotti di marca.
Design democratico, si dice. Anche perché un prodotto – si spazia dagli arredi all’abbigliamento, dalle stampe alle attrezzature per lo sport – prima di andare in produzione viene messo al voto dei clienti. Se quel che hai scelto viene eletto – e mandato in produzione – ti spetta uno sconto del 10% all’acquisto. Ed è probabile che accada, insomma una specie di primarie dello stile. Poi magari ci esce l’imitazione del marchio celebre (le fabbriche, infatti, potrebbero essere proprio le stesse). Ma poco importa.
Di fronte al terremoto, i mezzi di comunicazione tradizionali tirano fuori i fondamentali da sisma. E non solo. Un canovaccio – tanto consunto quanto tragico – fatto di racconti di superstiti, ritrovamenti miracolosi, morti e dispersi. Oltre alle immancabili interviste tra le lacrime sulle sensazioni di chi ha perso casa, cari – tutto – nel terremoto. Giornalismo emotivo, ricerca di “storie”. Tutto vero. Bruno Vespa, colpito nel personale (è aquilano come Franco Marini, nato a San Pio delle Camere, ed abruzzese come Gianni Letta da Avezzano) ha accentuato alcune sue tradizionali derive aiutato da un’inviata in grado di esaltare quanto di più lacrimoso le telecamere potessero cogliere. Eppure qualcosa è cambiato nella comunicazione su L’Aquila rispetto ad altri eventi sismici. Il Tg1 – provocando l’esacrazione di una parte del web – ha compiuto una tirata autoreferenziale, diffondendo (anche a mezzo ufficio stampa) i dati “esaltanti” sull’audience in casa Rai. Il sisma è poi entrato nel “racconto” live di SkyShow sul Grande Fratello. Il Corriere della Sera ha tentato la strada del crowdsourcing facendosi però rifilare una bufala: foto del terremoto cinese, spacciate per abruzzesi da un “citizen journalist”.
E la (riuni0ne di) redazione non c’è più. In tempi di crisi acuta per il giornalismo tradizionale (americano) Ventiquattro – il magazine de Il Sole 24 ore – racconta di Spot.us con un servizio a firma di Livia Manera. «Chiunque può suggerire un oggetto di indagine, versare 25 dollari e, se altre 99 persone faranno altrettanto, ingaggiare un professionista». L’idea la può lanciare un cittadino, ed è un tip, o un giornalista che vuol farsi finanziare (ed allora è un pitch). Il modello ispiratore è quello di Kiva.org, di DonorsChoose.org, associati forse un po’ a sproposito all’economia del dono dall’inventore di Spot.us, David Cohn. Qualcosa di simile invece è l’investigative fund cui sta pensando l’Huffington Post: un fondo per pagare le inchieste dei reporter. Ma Spot.us fa qualcosa di diverso: elimina il conciliabolo tra capi per decidere gli argomenti del giorno. Cancella pure il desk: si serve di fact checkers, dei controllori (come ne ha Huffington) esterni. Insomma, se il blogging ha creato l’autore senza editore, la formula di Cohn – per ora no profit – va verso l’editore senza autori e redattori (alle dipendenze).