Contro l’abusivismo edilizio ora possono le banche quel che non hanno potuto le leggi. E pure i piccoli abusi finiscono in stand by.
Contro l’abusivismo edilizio ora possono le banche quel che non hanno potuto le leggi. E pure i piccoli abusi finiscono in stand by.
Soft law. Per due volte consecutive, nel giro di pochi giorni, mi sono imbattuto in queste parole. Prima in un “vecchio” intervento [pdf] di Stefano Rodotà sull’Internet Bill of Right, poi per bocca del ministro Renato Brunetta a proposito di testamento biologico. Il senso è più o meno quello di regole che – pur non provenendo dal legislatore, pur non avendo forza coattiva – producono effetti giuridici in virtù della loro autorevolezza. «Il soft law – diceva Rodotà nel 2007 – sarebbe lo strumento più adeguato a regolare una società in perenne cambiamento, mobile, diffusa, per certi aspetti persino inafferrabile, quale è appunto quella dell’informazione».
L’evanescenza (se non la latitanza) delle autorità non è una novità. Ne rendono agevole testimonianza le leadership liquide, adattative, contrapposte ad una visione istituzionale perfino all’interno dei “partiti” (basta ascoltare Giuliano Ferrara sulla dicotomia Berlusconi-Fini nel PdL [mp3]). Oppure la crescita esponenziale della sussidiarietà, la folle deregulation alla radice dalla crisi dei mutui subprime, perfino la messa in dubbio del concetto di autore (termine che proviene dalla medesima radice latina del verbo àugeo) destinato a morire secondo la predizione di Roland Barthes.
Per Dahrendorf, però, l’attuale minaccia al benessere dei paesi occidentali potrebbe indurre i cittadini ad accettare il ritorno allo stato autoritario. La ragione? Mantenere il loro standard di vita.
Sette euro e venticinque centesimi. E’ quanto mi è costata la clonazione della carta di credito. Mi è andata bene, si dirà. Già, ma a sfilarmi la cifra dal conto corrente non sono stati i pirati informatici, bensì il circuito interbancario che gestisce il blocco della card. Come i truffatori abbiano poi avuto i sedici numeri della mia carta non lo so. Ma un sospetto c’è: dopo aver prelevato al bancomat abituale, mi è stata clonata anche la seconda multifunzione (carta di pagamento e di credito assieme). Non dovrò, forse, sborsare altri sette euro e venticinque centesimi: a bloccarla è stata la mia agenzia. Ma quel balzello in estratto conto per aver composto il numero verde ed evitare di essere grassato da qualche delinquente non mi va giù. Alla voce trasparenza, poi, l’opacità regna incontrastata: nessun cenno nell’avviso semplificato, né nel foglio informativo. Un solo avvertimento: per darmi un nuovo pezzo di plastica per far acquisti sborserò altri nove euro e cinquanta.
Scopro l’acqua calda. Nel 2007 – d’altro canto – il Garante antitrust aveva già segnalato che nei rapporti contrattuali di conto corrente il 31,9% non informava circa le condizioni del bancomat (quota annua e spese di emissione), il 67,8% dei fogli non riportava le spese del prelievo da Atm di banche diverse da quella di appartenenza e il 57% non indicava le condizioni relative alla carta di credito.