Barabba vince ancora. E gli storici protestano. Il tema storico è stato cancellato dalle prove scritte di maturità. In dieci anni l’aveva scelto solo il 3% dei candidati. “Perché tenerlo se così pochi la scelgono?”. Il criterio è ’democratico’, si potrebbe pensare. Un domani, chissà, non ce ne ricorderemo nemmeno. D’altronde la storia potrebbe purtroppo fare la fine della geografia, divenuta ormai una materia di seconda o terza fila.

Lord Muskerry's boat

Il peso della storia

La storia, a onor di cronaca, resiste alla Maturità nell’ambito storico sociale. All’esame di stato conterà di più quanto hai studiato nel quinquennio e si spera che lì almeno la storia resista. L’addio, insomma, è “solo” al vecchio tema storico. Nessuna catastrofe forse, ma una piccola perdita sì. Non si può negare che il peso e l’importanza della storia come materia siano diminuiti un po’.

Di chi è la “colpa”? Dei professori, dei ragazzi, del telefonino (non c’entra niente, ma viene sempre tirato in mezzo)? Nessuna di queste probabilmente. La forma tema – diciamocelo – è un “genere” che non affascina molto. Il tema storico risulta da sempre “impegnativo”. Ma pure quel che viene proposto ai ragazzi conta: la peggiore performance tra i temi sono state le foibe (0,6% delle scelte), la migliore il diritto di voto riconosciuto alle donne nel 1946 (7,1%).

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Il nostro presente continuo

Viviamo in un presente continuo, per cui proiettiamo anche sulla storia il nostro vivere qui e adesso. Logico che l’interesse o la comprensione delle trace siano stimolati da una lettura con gli occhi di oggi. È un guaio, forse. Ma è così.

Gli eventi, d’altronde, non si percepiscono come “storici” nel preciso momento in cui li viviamo. Ma a posteriori. Questo – a dire il vero – vale da sempre, in ragione della lettura che si fa dei fatti. Si potrebbe dire che “è storia ciò che gli storici rendono tale”, parafrasando un motto riferito al rapporto notizie-giornalisti. Il che convaliderebbe, ad esempio, espressioni come “la storia è scritta dai vincitori”. O lo slogan del Partito del Grande Fratello di Orwell: «Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato».

La moltiplicazione delle fonti

A ben vedere entriamo ogni giorno in contatto con la storia, intesa come racconto, non solo a scuola. Anche questo è un effetto dell’onnipresente presente. Innanzitutto produciamo molte più “fonti” storiche che non i nostri antenati. Per poter scrivere storia ci si serve di documenti o reperti. Paradossalmente la digitalizzazione li ha moltiplicati e, nel contempo, resi precari. Evaporabili.

Una volta, ad esempio, c’erano le lettere che adesso ritroviamo negli archivi. Oggi ci sono le email, i post, i tweet. Non entrano in fascicoli, ma se conservati sono teoricamente indicizzabili. Come le foto. Ne scattiamo un’infinità “documentando” l’ovunque e il continuo avvenire. Ma si possono cancellare, pure per una banale disattenzione. Per non dire del cambio delle tecnologie di memorizzazione, che rischia di rendere inaccessibili terabyte di fonti.

I Tudors (prima serie tv)

La storia delle serie tv

Infine il racconto della storia non è più prerogativa dei libri o delle lezioni scolastiche. Serie come i “Tudors”, i “Borgia”, “Versailles”, “Roma” collocano su uno scenario “storico” – che viene percepito come storico anche se non sempre lo è – ricostruzioni che fanno leva su violenza, erotismo e proiezioni del nostro sentire contemporaneo. E quella, essendo racconto come la storia, è sentita pure essa quale storia. Sul piano della fiction potrebbe essere “storia” pure “Games of Thrones”, avvicinando la narrazione di ispirazione storica e quella di matrice fantasy. Se perdiamo il senso della storia, un domani potremmo non distinguerle.

La storia, poi, torna negli anniversari o nelle cerimonie (ad esempio quelle dei Giochi di Pechino), che in tal modo – come nelle serie le esigenze funzionali all’intreccio piegano su se stesse la storia – diventano interpretazioni con funzioni politiche utili ad agire sul presente. Sarebbero servite ad esempio conoscenze adeguate sulla storia cinese per poterle interpretare ed evitarne una lettura strumentale. Quanti in occidente le avevano?

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Quale storia nel mondo globalizzato

“Abbiamo bisogno ancora della storia?” si è chiesto Serge Gruzinski, che ha evidenziato come globalizzazione e industria culturale abbiano impattato sul concetto. La storia non è scomparsa dal discorso collettivo. Ma è cambiata o è destinata a cambiare, perdendo la natura che le abbiamo riconosciuto finora. Lo storiografo francese si interroga se abbia ancora senso – in un mondo multiculturale e interconnesso, globalizzato appunto – utilizzare la storia che fu alla base della costruzione delle nazioni o incentrata sull’Europa. È una storia adeguata per i giovani che vivono in un mondo globalizzato? Andrebbe ripensata oltre che sul piano “spaziale” e diacronico, anche su quello che le è più connaturato: il tempo.

La verità, infatti, è che probabilmente lo stato di accelerazione permanente in cui viviamo, combinato con un sovraccarico di informazioni che subiamo, ci ha fatto perdere il senso della storia. Come pure quello del futuro. Gli avvenimenti erano storici dopo migliaia o centinaia di anni. Poi lo sono divenuti a distanza di decenni. Oggi basta un lustro. E passato pure quello ci saremo dimenticati magari che una volta, alla Maturità, c’era il tema storico.