“Libero calcio in libero Stato”, verrebbe da gridare. Non amo, notoriamente, il pallone. Né i suoi riti (un tempo) domenicali. Non mi scaldano sin dall’epoca della radiolina a transistor. Ma vedere quei volti astrarsi nell’immaginare quel cross e palo concretizzava, allora, quasi una sorta di “fantasia al potere” nazionalpopolare. Un principio di piacere che ritrovava quello di realtà al “Novantesimo minuto” e nella serale “Domenica sportiva”. Ora tutto questo non c’è più. Andiamo verso la Verità calcistica, quella unica, non controvertibile. Ad inquadratura unica.
Siamo emblematicamente entrati infatti tutti in una sorta di girone di ritorno. La politica pop per intero – di destra o di sinistra che sia – ha assunto, da alcuni lustri, stilemi calcistici: non solo nominali, ma anche nel dibattito su quella che dovrebbe essere la gestione della pòlis . Urla da fan, dialettica addio: non serve, si sta in curva. Sembra di assistere a quelle trasmissioni “salotto” delle tv private che vivono della sola vis polemica di ultras in giacca e cravatta (e non). Ebbene, oggi quei programmi – l’originale intendo, quello dal quale ha preso il format la “politica” – si vorrebbero ridotti al silenzio. Anzi, al pensiero unico. Non oso paralleli, sarebbero facili. Ma – ripeto – la situazione è emblematica.