Il passato al tempo di Google e dei social network.Sto invecchiando. Non solo perché se leggo in sovrimpressione nelle immarcescibili repliche serali della Rai un bel 1992, mi sembra una data di due anni fa e non di diciotto. Ma perché se oggi sfoglio quel genere di giornali nei quale iniziai a scrivere da cronista di campagna, ben più di venti anni fa, scorgo  – tranne rade eccezioni – episodi di giornalismo copia & incolla. A firmarli? Giovani penne che crescono. Non mi scandalizzo, nel senso etimologico della parola: la cosa non mi crea “inciampi”, “ostacoli”. Ma resto perplesso, quello sì, perché  mi incammino sulla via della senescenza professionale. Ormai, inutile negarlo, l’accidia senile è dietro l’angolo.

Lo stato di senescenza emerge pure dalla rete. Ma da solo. Pian piano che mi connetto in qualche sistema di relazioni sociali mediate dal computer – detto alla buona “quando mi collego a Facebook o Linkedin” – spunta sempre qualcosa dal passato. Volti e nomi di venti anni fa (tranne un caso da 32!), magari, sotto forma di “richiesta di amicizia” dai quattro angoli del mondo, dei quali però ricordo pressoché tutto. A riprova che come ogni anziano incipiente non rammento la mia colazione, ma ho a fuoco con nitidezza eventi e particolari remoti.

L’aspetto inquietante – e non so se è una mia sensazione o un effetto del digitale – è che percepisco queste loro autorappresentazioni come se non ci fosse stata soluzione di continuità. Insomma, se da un lato lo spazio sparisce – e per forza, sfido io, via internet – anche il tempo sembra implodere. Poi scopri, chattandoci, che hanno figli, famiglie, lavori e vite alle spalle. Come te. Ma la socievolezza implicita del social networking ti rende familiari quelle foto e quelle descrizioni. Strano effetto di senso. O sarà, semplicemente, l’età?