Nella scuola di mio figlio c’è un ripetente. Fa la prima elementare. Per quanto possa sembrare incredibile accade già, anche senza quel “5” in una sola materia che il decreto Gelmini coverebbe in grembo. «E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati» direbbe, se fosse ancora tra noi, quel don Lorenzo Milani che Marcello Veneziani ha indicato, nello spasmo di dire qualcosa di originale, come ideologo dell’antimeritocrazia.

Nella scuola primaria parlare di “merito”, anziché di “formazione di base” è un’aberrazione: la qualità dell’insegnamento – e soprattutto dell’apprendimento – andrebbe misurata sui progressi dell’anello più debole della catena rispetto al suo precedente stato. Non sulle eccellenze o sul numero dei bocciati. Diverso discorso per le medie inferiori, dove passare un’estate a studiare per riparare le proprie mancanze ha una valenza educativa, oltre che formativa.

La follia nei licei, nei tecnici e professionali è stata l’introduzione dei crediti – ottenibili senza studiare – e dei debiti, che nessuno ha mai saldato. Oltre aver convalidato così che se si vien promossi per anzianità (ragione per la quale pure i loro prof hanno avuto aumenti di stipendi), siamo arrivati al paradosso che i diplomati hanno conseguito lauree triennali – studiando su libricini – in facoltà dove non si boccia.

La ragione di ciò è tutt’altro che sessantottina, bensì spietatamente economica: più fuori corso “vanta” un’ateneo, inferiori sono i finanziamenti pubblici. Una motivazione analoga potrebbe salvare i bimbi in grembiule dallo stop per una sola insufficienza: le fasce di complessità degli istituti da cui dipende la retribuzione dei dirigenti scolastici sono influenzate dal numero degli iscritti. Ogni trasferimento potrebbe minacciare, dunque, il reddito di presidi e direttori.