Foto di downing.amandaLa scuola sta finendo e un anno se ne va. Ma stavolta la campanella potrebbe tornare a suonare a ottobre, anziché a settembre, salvando così da una “prematura” fine stagione l’Italia sotto l’ombrellone. Una preoccupazione degna dei Righeira, quelli del tormentone anni Ottanta de L’estate sta finendo. L’idea, espressa addirittura sotto forma di disegno di legge – il n. 409, un solo articolo: “Per le scuole di ogni ordine e grado l’anno scolastico ha inizio dopo il 30 settembre” – è arrivata in sede referente alla commissione Istruzione del Senato. Se ne discuterà domani, 27 maggio.

«Posticipare l’apertura dell’anno scolastico potrebbe aiutare molte famiglie e dare anche un aiuto al settore turistico». Le parole del proponente, il  senatore Giorgio Rosario Costa da Lecce, avrebbero potuto scaldare Michela Vittoria Brambilla. Ed invece, se la ministro del Turismo si interroga sulle conseguenze per le famiglie di una simile “trovata” (analoga, ma non identica, ad una di qualche tempo fa del duo Rutelli – Fioroni), al contrario ne appare paradossalmente entusiasta quella all’Istruzione, Mariastella Gelmini. La responsabile del dicastero di viale Trastevere fa di più, ripete a Sky Tg24 quasi parola per parola le tesi di Costa: «uno slittamento dell’inizio dell’anno scolastico potrebbe aiutare le famiglie a organizzare meglio il periodo delle vacanze e dare anche un aiuto al turismo».

In Europa, tanto per tirar fuori la testa dallo Stivale, la stragrande maggioranza dei Paesi inizia l’anno scolastico da settembre (tranne il nord Europa, Germania e Liechtenstein che partono da agosto). Fa eccezione solo la caldissima Malta, che comincia a fine settembre. Tornare tra i banchi ad ottobre, per l’Italia, non sarebbe una novità: negli anni Sessanta e Settanta era già così. Peccato che nel frattempo la famiglia patriarcale si sia dissolta, imperversino coppie scoppiate, genitori single, lavori a singhiozzo o orari tali da rendere un problema proprio “a chi affidare i figli” quando sei al lavoro. Per non dire di quanti, in tempi di magra come questi, non hanno i soldi per pagare un qualche servizio.

La durata minima dell’anno scolastico – uno standard fissato per legge quanto a giorni ed a ore – è poi plausibile ritenere sia collegata ai tempi necessari allo svolgimento del programma e delle relative verifiche. Diversamente dovremmo pensare che finora siamo stati gestiti da qualche folle. E così non è. All’estero, è vero, fanno meno giorni di lezione che in Italia, ma i programmi “ministeriali” non sono (ovviamente) gli stessi.

Ridurre il numero dei giorni implicherebbe dunque o l’incremento delle ore giornaliere di lezione (un piccolo assurdo, vista la politica di progressiva cancellazione del tempo prolungato) o lo svolgimento a “passo più spedito” del programma e delle verifiche. Siamo poi certi che la “qualità” possa restare a livelli decenti? Non basta la voragine di conoscenza perduta già scavata da scelte dissennate come quelle, ad esempio, della storia “fatta una volta sola” alla scuola dell’obbligo? Vogliamo metterci pure un po’ di fretta?

La scuola, inutile nascondercelo, assolve ad una duplice funzione, in particolare dove ci sono i tempi prolungati della fascia dell’obbligo. Da un lato compie la sua tradizionale missione didattica ed educativa, dall’altro – e sarebbe davvero poco intelligente negarlo – l’istituzione scolastica svolge una funzione sociale: permette, infatti, ai genitori lavoratori (o precari) di avere una “sicurezza” in una fascia oraria ed in un tempo certo sul dove far stare costruttivamente i bambini. Iniziare ad ottobre significherebbe, dunque, solo mettere nei guai le famiglie. Altro che «organizzare meglio il periodo delle vacanze» della Gelmini! Non mi si dica però che il mio ragionamento fa “usare” la scuola per un fine diverso da quello istituzionale e tradizionale. Perché infatti sarebbe ancor meno coerente con le finalità di una scuola che “non è un parcheggio” cambiarne il calendario per favorire… il turismo!