The Girl Who talked to Dolphins – trailer from Christopher Riley on Vimeo.

Allo Sheffield International Documentary Festival nel Regno Unito domani, 11 giugno, sarà presentato “The Girl Who Talked to Dolphins”, La donna che parlava con i delfini, documentario di Christopher Riley. È la storia di Margaret Lovatt, una giovane che tra il 1963 e il 1964 fu coinvolta in un singolare esperimento sulla sua isola di St. Thomas, ai Caraibi: insegnare l’inglese a un delfino. Una storia “d’amore” che finì, tragicamente, con il suicidio del mammifero. Ma quel che potrebbe lasciare sorpresi è che questa ricerca fu finanziata dalla NASA per non trovarsi impreparata quando sarebbe stato il momento di comunicare con gli extraterrestri.

Gli extraterrestri prossimi venturi

Può sembrare una di quelle notizie degne di apparire in qualche sito di misteri o in qualche rassegna di complottisti sull’esistenza degli Ufo “tra noi”. Ma si tratta di qualcosa di cui – ai tempi – la stessa Oriana Fallaci aveva riportato ampiamente, con una punta di disincanto, nel suo libro reportage “Se il sole muore”. Una ricerca “bizzarra”, che però era perfettamente coerente con un’epoca – quella della corsa allo spazio – nella quale quel che poteva sembrare immaginario era considerato tutt’altro che fuori portata. Basti dire quante volte le riviste di scienze popolari, vera e propria miniera dell’eccentrico tecnologico (ai nostri occhi e probabilmente anche a quelli di molti benpensanti dell’epoca), abbiano riportato che si stessero sperimentando in casa americana dei dischi volanti come mezzo di propulsione ad uso umano. E ancor oggi quel genere di notizia ha la sua forza: lo scorso anno negli Stati Uniti è stato brevettato un disco volante, che Nasa e U.s. Air Force progettano di usare per voli terrestri e spaziali.

Ecologia della mente e LSD

Ma torniamo ai delfini e alla comunicazione con gli alieni. A ingaggiare la ventenne furono due personaggi fuori dall’ordinario: Gregory Bateson e John C. Lilly. Chi guidò la ricerca fu Bateson, antropologo, etologo, cibernetico, teorico della comunicazione e dei sistemi, nonché di alcune intuizioni che furono alla base della Scuola di Palo Alto. L’autore de “Verso un’ecologia della mente”, grosso fumatore dall’aspetto arruffato, era tutt’altro che uno scienziato pazzo uscito da qualche pellicola hollywoodiana. E alcune sue intuizioni sono ancor oggi considerate seriamente dalla ricerca sociale e scientifica. Il “personaggio” più particolare fu però senza dubbio Lilly, che è stato anche uno dei pionieri dello studio dello LSD per conto del governo americano, nell’ottica che questo ampliamento della mente potesse avere anche qualche utile applicazione. Ed era questo neurofisiologo a soprintendere alle sperimentazioni con i delfini (ai quali arrivò in una sorta di cortocircuito della ricerca ad iniettare LSD), nel corso delle quali la giovane Margaret visse assieme al cetaceo Peter, fino a farlo “innamorare” (e negli anni successivi provocare perfino per questo una “piccante” illustrazione). Ora la vicenda, dopo il festival, sarà in onda sulla BBC il 17 giugno, alle 9 di sera.

L’ironia di Oriana Fallaci

I delfini – aveva raccontato Lilly a Oriana Fallaci – sono gli animali più intelligenti del nostro pianeta. Escluso l’uomo. «Se riusciamo a decifrarne la lingua, con lo stesso meccanismo possiamo decifrare la lingua di creature che vivono in altri pianeti». La convinzione del neurofisiologo era stata espressa in un libro del 1961, “Man and Dolphin”, ed aveva a sua volta affascinato Frank Drake, l’astronomo autore nel 1961 dell‘equazione che ipotizza la presenza di civiltà extraterrestri in grado di comunicare con la nostra galassia. Il parallelismo tra tentativi di entrare in comunicazione con specie diverse fu facilissima e da qui ad ottenere il sostegno della Nasa e di altre agenzie governative il passo era stato breve. Lilly alla Fallaci era parso fin troppo ottimista, tanto da provocare l’ironia della scrittrice fiorentina: «Supponiamo ad esempio che un astronauta laureato all’acquario atterri su Marte, incontri un marziano, e gli parli col meccanismo che usava per parlare ai delfini. Come minimo il marziano lo pesca, lo infarina e lo frigge». Talmente sarebbero diversi la fisiologia e il percorso evolutivo dell’uomo e dell’alieno che – un po’ come nella celebre (e celebrata) “La sentinella” di Fredric Brown (1954) – sarebbe inutile provarci e sarebbe equivalente a comunicare con l’inglese, il russo o l’etiopico. «O telepaticamente: progetto, questo – riferiva nel 1965 la Fallaci – di cui perfino il nome è segreto e che i russi, sembra, studiano seriamente da tempo». Intanto, oggi, almeno i telefoni (snodo della nostra modernità, come avevano previsto in qualche modo già negli anni ’60) si sta provando a farli funzionare – se non telepaticamente – quanto meno con le onde cerebrali . E non ci viene neppure (un granché) da sorridere.

Dialoghi fuori dal mondo

Nei decenni successivi alla fine dell’esperimento a St. Thomas (Peter e gli altri due delfini furono trasferiti a Miami) l’eccentrico Lilly – che aveva avuto un legame di amicizia pure con il produttore del film “Il mio amico delfino (Flipper)” (1963) a conferma del labile confine tra reale e immaginario – tentò ancora di lavorare con questi mammiferi, studiando la comunicazione tra esseri umani ed animali. E non si limitò ad usare i toni musicali, ma – quasi avesse ascoltato le critiche della Fallaci – addirittura la telepatia. E l’idea di comunicare con gli alieni attraverso i delfin che sorte ha avuto? Non è stata affatto abbandonata. Quanto meno dall’organizzazione più seria e stabile nella ricerca di forme di vita extraterrestri:il Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence). Tanto che nel 2011 Wired poteva ancora titolare: “To Talk With Aliens, Learn to Speak With Dolphins”