JFKTre personaggi. Tre icone. Tre stagioni della comunicazione. E tre cattolici, per definizione tentati dall’universalità del dialogo. John Fitzgerald Kennedy, Giovanni Paolo II e Papa Francesco corrispondono emblematicamente a tre incarnazioni della comunicazione negli ultimi cinquanta anni. Quelli che ci separano dalla morte di JFK, sulla quale – come era prevedibile – si scatenano oggi infinite rievocazioni. (E ci metto pure io del mio, nel mio piccolo).

Il presidente tv. Kennedy è stato il primo presidente degli Stati Uniti nato e morto in televisione. Ha “capito” il piccolo schermo nella sua trionfale campagna elettorale, arrivando a cogliere – in quella dimensione – il successo nel primo confronto tv della storia: quello con il suo avversario repubblicano Nixon. Una vittoria mediatica, conseguita il 26 settembre 1960, che gli aprì la strada per la Casa Bianca. Ma JFK è stato anche colui che dalla tv è stato usato grazie alla sua spettacolare morte violenta a Dallas, il 22 novembre 1963. Mentre l’uccisione di Lincoln fu metabolizzata, la diffusione “in diretta” della notizia da parte di Walter Cronkite, una news che si materializzava pian piano nella sua drammaticità, tra  notizie rassicuranti e catastrofiche, portò gli americani a misurarsi con la forza coinvolgente della televisione. E con essi il mondo intero, Italia compresa, grazie alle telecomunicazioni che ormai – in virtù anche dei satelliti lanciati nel 1962 – lo collegavano rapidamente e diffondevano la notizia della sua morte.  Alimentando un mito. Perché i miti muoiono prematuramente.

Papa personal medium. Se la Luna – pur vista poeticamente mentre si scatenava la corsa allo spazio – era stata nel 1962 al centro di un celebre discorso in piazza San Pietro di un Papa, Giovanni XXIII, sarà invece un altro pontefice a “segnare” un’altra epoca delle comunicazioni. Quella del passaggio dal mass medium al personal medium. Wojtyla è stato infatti il Papa del cellulare: lo ha usato e ne è stato usato. Dal primo messaggino urbi et orbi, alla notizia della sua morte via sms in sala stampa, per finire immortalato tra le icone di un videofonino. Il santino cambiava materia, si passava di mano, senza bisogno della fisicità cartacea. Tutto normale, sapeva solo lontano nel tempo l’apostolato della preghiera con i suoi microscopici bigliettini. Anche il funerale di Kennedy fu un evento collettivo, Giovanni Paolo II non morì giovane ma fu “Santo subito”.

Social Bergoglio. «Papa Francesco non può essere definito un uomo da Twitter o Facebook, è lui stesso un social network». La tesi è di Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica – quindi gesuita pure lui – e teorico della cyberteologia. Bergoglio crea eventi comunicativi, chiede ai fedeli non di starsene fermi ad aspettare una benedizione che scende dal loggione. Li rende attivi, li invita a pregare per lui. Comunicazione bidirezionale, partecipazione attiva. E come in una rete sociale si cura di rispondere uno ad uno, non uno a molti. Usa il cellulare, come Giovanni Paolo II, ma in modo diverso: se lo hai interrogato, potrebbe esser lui al tuo telefono che squilla. Anche quando dispensa una medicina inventata – la Misericordina – non fa guerrilla marketing, si comporta invece come tanti parroci di paese o di quartiere. Perché ha abbassato il livello della comunicazione dalla finestra del palazzo apostolico a quella dell’asfalto dove poggia i piedi la gente. In un rapporto da pari a pari. Come nei social.

modificato il 22 novembre 2013 alle ore 9:50