Roma soffre di inquietudine esistenziale. Più di New York, Bombay, Londra, Parigi, Il Cairo, San Paolo, Mosca, Pechino e Tokyo. La domanda – posta dal Censis – era: «Quale sentimento descrive meglio il suo rapporto con la vita?». Il 46% dei cittadini ha risposto con la parola “incertezza”. La vicinanza semantica con il termine “sicurezza” ha fatto scivolare destra e sinistra nel consueto rondò di accuse reciproche. Eppure soldati per strada, eredità del passato o rinforzi ai pizzardoni non c’entrano niente. O quasi. Sarebbe bastato incrociare queste risultanze con altre ricerche.

Secondo Giuseppe Roma, direttore del Censis, al primo posto dello studio presentato ieri c’è la paura di non essere autosufficienti o nelle piene facoltà mentali. Le paure materiali, come quella di perdere il posto di lavoro, sono al secondo posto. Nel Lazio – secondo Nidil-Ires e “La Sapienza” (rapporto del giugno 2008 pdf)- sono precari tre parasubordinati su quattro (72,9%). «A Roma si concentrano ben 230.366 parasubordinati e, di questi, vive il rischio del precariato il 74,1%». Il Centre for Addiction and Mental Health affiliato all’Università di Toronto – sempre ieri – ha diffuso uno studio secondo il quale la salute mentale è insidiata, in particolare, dagli impieghi precari. Se proprio non si vuol trovare un nesso, non lo si cerchi. Ma non si può fare a meno di constatare la compresenza dei due fenomeni: incertezza e precariato.

Un po’ come si fa per il prodotto interno lordo – il famigerato Pil – misurare solo con l’indice di occupazione il grado di “felicità” sarebbe fuorviante. «I sondaggi evidenziano anzi un crescente malcontento per le condizioni di lavoro, proprio in quei paesi che hanno registrato la riduzione più significativa dei tassi di disoccupazione» ha notato Tito Boeri, nell’insistere sulla decentralizzazione della contrattazione al fine di legare reddito a produttività (ma senza affrontare il nodo dello squilibrio dei rapporti di forza tra datore e “pochi” lavoratori). E’ la condizione precaria alla base del malessere. E’ la fiducia verso il futuro, la capacità di guardare al domani con “certezza”, la garanzia che pur cambiando lavoro si abbiano le tutele contro la disoccupazione, il riconoscimento del livello retributivo raggiunto e dei meriti accumulati ciò che potrebbe ridurre tante inquietudini. E non stellette e fucili come armi di distrazione di massa.