Che il Male fossero i social network c’era da aspettarselo. Il diavolo fu il rock, ora c’è chi vede la coda del Maligno tra i cavi di internet. D’altro canto il giallo di Avetrana si era aperto con la caccia tra le pagine di Facebook per chiudersi, in apparenza, con l’arresto di un contadino. E non era certo quello di Farmville. Tant’è che si velocemente tornati al circo pornografico delle vite in diretta e delle arene tra inesperti alla Giletti. Ma non si tratta, a proposito dei social network, solo della sindrome da inviati nell’Oriente Digitale – per costoro il web o è terra di meraviglie o di orribili misteri – che affligge chi fa comunicazione. I social network sono campo di pascolo – ed alibi – per un efficientismo fasullo.

Aziende medio grandi e – figurarsi, nella stagione del brunettismo di facciata, potevano mancare? – enti pubblici hanno iniziato a chiudere il rubinetto delle loro reti ai social network. “Distolgono dal lavoro”, “Diminuiscono la produttività” e via dicendo panzane (veri)simili. Tralascio, per carità di patria, il corifeo del “Facebook uccide” o fa commettere adulterio. Sarebbe un delirio. Qui parliamo di soldi, poco ci manca di prodotto interno lordo. Strano che ancora nessuno abbiano pensato ad accusare i social network del crollo italiano o della truffa dei subprime. Qui neanche discettiamo di proxy, firewall e amenità simili. Tecnologia? No i vertici delle imprese e degli enti intervengono su questo strumenti per interdire i pc aziendali dall’accesso a Facebook, Twitter, Friendfeed e via interconnettendo.

Lascio da parte del danno che si provocherebbe impedendo l’uso del telefono in azienda. Troppo evidente la simmetria con i social network per apparire ad alcuni manager che anche il caro vecchio apparecchio telefonico può essere fonte di distrazione e ozio. Impedissero ai dipendenti – pardon, alle risorse umane (in depauperamento cognitivo) – di chiamare i loro “contatti” personali, se conviene loro. Che dire della serendipità,  quel meccanismo che ti porta a scoprire cose nuove per caso, navigando o venendo “messo sulla strada” dalle comunità virtuali? Con le parole di “innovazione”, “formazione permanente” e “fare rete” la prossima volta i dirigenti potranno anche strozzarcisi. Figurarsi con il termine “clima organizzativo” (la notizia è vecchia e risaputa).

“I social network distraggono e non fanno lavorare!”. Vivendo in un mondo iperconnesso ed interconnesso capita però che se bloccano i social network sul pc del lavoro – in un accesso ed eccesso di efficientismo fasullo – il lavoratore accede – negli stacchetti tra un impegno e l’altro – a Facebook, Twitter eccetera col suo telefonino (vietare anche quello?). E ovviamente non per aggiornarsi per “lavoro”! Ma poi, diciamocelo seriamente, perché un dipendente – pardon, una risorsa umana – riesce a passare gran parte del tempo a giocare con Farmville o qualche altra rilassante e strepitosa applicazione in rete? Due le ragioni, non altre: o non ha niente da fare, o non ha un capoufficio in grado di controllarlo. Chiudere i social network alla rete aziendale – specie negli enti pubblici – è dunque solo un modo per autoassolvere le  incapacità gestionali. E se davvero si vuole risparmiar qualcosa, ecco, sarebbe meglio risparmiare l’efficientismo da quattro soldi.