“Libero calcio in libero Stato”, verrebbe da gridare. Non amo, notoriamente, il pallone. Né i suoi riti (un tempo) domenicali. Non mi scaldano sin dall’epoca della radiolina a transistor. Ma vedere quei volti astrarsi nell’immaginare quel cross e palo concretizzava, allora, quasi una sorta di “fantasia al potere” nazionalpopolare. Un principio di piacere che ritrovava quello di realtà al “Novantesimo minuto” e nella serale “Domenica sportiva”. Ora tutto questo non c’è più. Andiamo verso la Verità calcistica, quella unica, non controvertibile. Ad inquadratura unica.

Siamo emblematicamente entrati infatti tutti in una sorta di girone di ritorno. La politica pop per intero – di destra o di sinistra che sia – ha assunto, da alcuni lustri, stilemi calcistici: non solo nominali, ma anche nel dibattito su quella che dovrebbe essere la gestione della pòlis . Urla da fan, dialettica addio: non serve, si sta in curva. Sembra di assistere a quelle trasmissioni “salotto” delle tv private che vivono della sola vis polemica di ultras in giacca e cravatta (e non). Ebbene, oggi quei programmi – l’originale intendo, quello dal quale ha preso il format la “politica” – si vorrebbero ridotti al silenzio. Anzi, al pensiero unico. Non oso paralleli, sarebbero facili. Ma – ripeto – la situazione è emblematica.

La Lega Calcio ha imposto, è notizia sui giornali, la propria regia alle dirette di calcio. Se c’è uno striscione non gradito o un’azione della squadra di casa (della regia) potrebbero non essere mostrati. Lo stadio non è più concepito come luogo “comunitario”, è proprietà dei padroni di casa. Ed “ognuno è padrone a casa propria”. Non dovremo mostrar meraviglia se ce lo sentiremo dire.

D’altronde, non basterebbe andare alla partita per rendersi conto con i propri occhi di quel che accade in campo? Ma – costi a parte – il calcio, come il mondo parallelo (e spesso convergente) della politica, è televisione. Non altro. Chiedetelo ai vertici ecclesiastici che si ritroveranno le dirette dai campi se non a ridosso dell’ora di Messa, perlomeno a disturbare un momento “chiave” per un mattone fondamentale della società: la famiglia. «Mettersi davanti agli schermi alle 12,30 – ha detto il vescovo di Fidenza, monsignor Carlo Mazza – quando si va a pranzo o ci si prepara per andare a pranzo, a me pare un’invasione di campo».

Il credo calcistico, però, non solo invade spazi – a dir il vero – sacri. Ma si impone come verità non discutibile. Della regia di parte alle dirette si è detto (in compenso Sky promette, e chissà se è un risarcimento in valuta reality , telecamere negli spogliatoi). Ma c’è dell’altro: anche i resoconti saranno privi della pluralità dei punti di vista. A tirar la volata la tv di Stato. La Rai ha infatti deciso di chiudere la moviola nelle trasmissioni sul campionato di calcio. La rubrica, che aveva 43 anni, sarà sostituita da approfondimenti tecnici “a scopo didattico”. Another brick in the wall , non c’è che dire.

Torneremo alla radiolina? I consumi mediali indicano una rinascita, grazie anche al web, dell’invenzione di Marconi. Potrebbe darsi dunque che si torni alla fantasia, ma resterebbe a senso unico il ritorno alla “realtà” – quello visto in tv – di quanto immaginato all’ascolto degli eredi di Nicolò Carosio e dell’immaginifico “quasi gol”.

Non restano allora che i salottini delle tv locali, quelli dove saltellando da una tifoseria all’altra ti fanno raccontare la partita da chi la vede per tuo conto?
«È in ogni caso – ha stabilito la Lega Calcio – tassativamente vietata al licenziatario la tele audiocronaca e/o l’audiocronaca della gara, in diretta e/o differita, effettuata dallo stadio, dagli studi televisivi e/o da qualsiasi altra postazione». Non avrai altro calcio all’infuori di me.

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