È un bosco quello che ti accoglie a teatro, non appena entri in platea. C’è nebbia, semioscurità nella sala. Luci notturne si proiettano sulla scena aperta del palco. Senti appena il canto soffice degli uccelli che punteggia il trascorrere del tempo. Diresti di essere in un bosco incantato. Quasi come in un “Sogno di una notte di mezza estate”. O in una fiaba. E, come in ogni fiaba, gli eroi – sei ragazzini – ne usciranno trasformati. Per sempre.
Guerra virtuale, guerra reale
Tutto questo perché all’improvviso la bella scenografia di Lisa De Benedittis – lo spettacolo è “War Game” di Veruska Rossi, Guido Governale e Riccardo Scarafoni in scena al Teatro “Ghione” di Roma fino al 22 aprile 2018 – rivela una cameretta. Al suo interno cinque (e poi sei) bambini, tutti straordinari attori in erba della compagnia Omnes Artes. Parlano veloci, si passano i visori di realtà virtuale. Il gioco è proibito per via della loro età. Ma per questo è ancor più irresistibile entrarci.
Giocheranno alla prima guerra virtuale. Un’esperienza immersiva, che li proietterà in quel bosco magico e tragico, nei panni di sei avatar-soldato incarnati da altri bravissimi giovani interpreti. Un gioco di guerra che però rivelerà ai ragazzini una terribile realtà.
Alle soglie del disumano
“War Game” è davvero un bel lavoro per il teatro. Per allestimento, messa in scena, regia, testo e interpretazione. Non c’è solo la sottotraccia del grande cinema (dallo sconvolgente eXistenZ di David Cronenberg all’Avatar di James Cameron). C’è pure un mix strepitoso tra noi e la nostra capacità di proiettarci nell’altro, che non è solo esigenza di attori o comunicatori, ma istanza di vita sociale.
Per non dire di quanto suggerisca – questo “War Game” in scena al “Ghione” (teatro accessibile ai non vedenti) – l’orrore della guerra. Tra i numerosissimi piani di lettura, restituisce pure quello della trasformazione che subisce l’animo di chi si trova a comandare per compiere una missione, quale che essa sia, e finisce per vedere solo quella. Perdendo di vista l’umanità.
È stata evitata elegantemente ogni condanna – e pretestuosa – dei videogame e del virtuale. Anzi, la lettura che ne offre “War Game” è quella di un osmotico contatto tra le due dimensioni: quella del cosiddetto reale e quella del virtuale.