traffico-bus

Meglio il bus. O il tram e il treno. Al car sharing non mi avvicino per codardia. È risaputo che non amo perdermi. Pure se ho il navigatore. Poi se so la strada a memoria – o ho la mappa in testa, come mi accade per i luoghi che amo – posso orientarmi quasi senza cartina. È capitato con Parigi e Venezia. Non così per Roma. Un giorno, ad esempio, capirò da che parte sta Ponte Milvio rispetto all’uscita dal ponte di corso Francia. E sempre un giorno – ma ne dubito – capirò come funzionano i trasporti pubblici capitolini. Non le reti e i percorsi, neanche gli orari e i biglietti, che ho sempre timbrato. E per un lungo periodo l’ho fatto tra gli sguardi sorpresi degli altri passeggeri. Tutto chiaro.

Quel che mi sfugge è chi fa muovere i mezzi pubblici. Stamattina avevo un impegno che iniziava alle 8,30. Contando sulla mentalità di quest’area geografica, ho aggiunto un quarto d’ora di flessibilità. Zero traffico. Di sabato, se è presto, a Roma può capitare. Sono sotto la palina intorno alle 7 e tre quarti. Eccolo il bus. Salgo. Accendo la app che mi conta le fermate avvertendomi quando devo scendere. Lo so, è il solito problema, tra vie e viuzze e pure un po’ di distrazione talvolta salto la discesa giusta. Poi recupero alla successiva. Stavolta i tempi sono stretti. Moovit però non parte, anzi va al contrario rispetto alla destinazione che gli avevo impostato. “Ti pareva”.

Mentre il bus imbocca il lungotevere una giovane filippina si avvicina all’autista. Lei ci parla, pure se non si potrebbe. Ma d’altra parte quell’uomo sta conversando con i pochi altri passeggeri che si affollano attorno al posto di guida. «Mi scusi, ma non va in direzione Tiburtina?». Il conducente sobbalza. «No, veramente…». La donna, cortese e timida, esclama: «Allora ho sbagliato direzione». Mi allerto pure io. Nella mia solita distrazione devo esser salito sul bus che va nel senso inverso a quello che porta al mio appuntamento. Ed esclamo: «Pure io allora devo aver preso la linea in senso inverso!». L’autista, un po’ imbarazzato, rallenta e si ferma a metà di un ponte sul Tevere, dove non ci sono fermate: «No, ho sbagliato direzione io. Scusatemi». Un conducente di autobus che si sbaglia sulle vie di Roma? Deve essere la mia nemesi da smarrimento: ora mi insegue pure sui mezzi pubblici. Quelli che non dovrebbero sbagliare mai.

Le scuse stavolta, però, non mi viene spontaneo accettarle. Scendo per andare verso la fermata che il distratto dell’Atac mi indica per prendere la stessa linea nella direzione inversa (e giusta). Solo che l’altro bus passa, senza che io riesca ad attraversare per tempo il larghissimo tratto di lungotevere. Visto l’orario di passaggio del successivo mezzo e la durata stimata del percorso non mi resta che tornare, a piedi, all’auto ferma nel parcheggio di scambio. Provo ad affrontare le vie di un pezzetto di città. Contribuisco con un po’ di polveri sottili alla dose quotidiana che i romani assorbono. E una volta a destinazione – “Tanto ci sono le strisce blu, nessuno spenderà un capitale per stare ore”, mi dico – scopro che tutti, ma proprio tutti, i parcheggi a pagamento nel raggio di un chilometro sono occupati. Ecco, come funzioni per i residenti non so, ma qualcosa mi dice che siano le loro auto in sosta lì, mentre dormono a casa beati. Il mio appuntamento sta saltando. Giro e rigiro per mezz’ora. Neppure con il car sharing ce l’avrei fatta a trovare un posto. Il gas di scarico appesta il quartiere. Spero abbiano le finestre chiuse. Vagli a spiegare che stamattina un autista dell’Atac si era distratto e che io sono tornato a casa senza aver concluso nulla.