Se dici Italia, dici casa. Otto italiani su dieci ne posseggono una. In trent’anni le abitazioni di proprietà sono aumentate del 32 per cento: la stessa misura dell’incremento dei capifamiglia. Eppure la popolazione è cresciuta soltanto del 5 per cento. Tanti tetti sopra a poche teste, insomma.

A calare, infatti, è stata la quantità dei componenti dei nuclei familiari, passata da 3 a 2,4 di media. E questa domanda, per un po’, sembra aver tenuto i prezzi in alto in quello stesso settore che, grazie ad una bolla immobiliare scoppiata Oltreoceano, ha innescato una recessione planetaria senza precedenti.

Adesso si scopre che il mercato del mattone sta crollando. Compravendite calate del 23,6%, prestiti ridotti del 41,2% nel secondo semestre del 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Pure le ristrutturazioni edilizie hanno visto il credito crollare del 75%. Il tasso variabile – ad ottobre – è calato un po’, ma quello fisso per i mutui ultra decennali è cresciuto ancora.

Pure se dici Roma, però, dici casa. Anzi, dici “palazzinari”. E sin dai tempi dello scandalo della Banca romana gli istituti di credito sono stati legati all’industria del mattone. Rimediandoci però anche storici tonfi. La storia avrebbe potuto insegnare. Ma, da quel che sopportiamo sulle nostre tasche, non è stato affatto così per il male venuto dagli Usa.

I costruttori nella Capitale d’Italia controllano giornali, finanziano candidati, condizionano in un certo senso la vita cittadina: sono insomma una lobby. Un settore importante di un’economia che sulle abitazioni prospera dai tempi dei Savoia. E di costruttori ce ne sono per tutti gusti, di grandi e di piccoli.

Fino a poco tempo fa molti – non tutti – vendevano abitazioni con finti sottotetti, garage abitabili, interrati residenziali. Piccole furberie per sfuggire ai vincoli di cubatura imposti dagli strumenti urbanistici e rispondere all’imperativo categorico: costruire, costruire e costruire.

«Adesso non mi azzardo neanche a farne di case così – ti può dire un costruttore – Perché? Al primo guaio, le banche ti chiudono i rubinetti e smetti di lavorare». Insomma, oggi rispetta scrupolosamente le leggi, quasi con pignoleria: teme il marchio d’infamia dell’illegalità, se non addirittura della veniale irregolarità. Spera semmai — con alterne fortune — in qualche salvifico piano casa o di housing sociale nell’Agro romano. Ma vuole un lasciapassare regolare, nulla che non sia sancito da una legge. Solo qualche decennio fa sarebbe parso tutto incredibile.

Il sacro timor della legge prende pure il pesce piccolo, quello che aveva quattro soldi da parte, un pezzo di terra e il sogno di una casa. Certo c’è pure la crisi che morde i freni: proprio a Roma giacciono non ritirati negli uffici urbanistici quattrocento permessi per costruire o ri-costruire. Una cifra sorprendente per la Città Eterna, proprio quella che ospita la metafora del suo stato di permanente costruzione con il cosiddetto “Cantiere di San Pietro” (che, stando ai proverbi, non finisce mai).

Per arginare quelli che “ora costruisco, tanto prima o poi ci sarà un condono” — e tra il 2010 e il 2012, per ben 16 volte, in Parlamento si è tentato di riaprirne i termini — non servono più nuclei speciali dei vigili urbani, né task force di tecnici antiabusivi. Ora bastano le banche: non ti danno i soldi. Solo il 15% delle richieste di finanziamento va a buon fine (secondo MutuiOnLine). E, paradossalmente, l’abusivismo – anche quello di piccolo cabotaggio, fatto di liberi ritocchi a quanto i permessi consentono – finisce in standby.