Il comune di Villaricca ha deciso che la mensa dell’asilo non poteva costare lo stesso per residenti e non: è la nuova Italia dei Comuni, quella federal-egoista.
Il comune di Villaricca ha deciso che la mensa dell’asilo non poteva costare lo stesso per residenti e non: è la nuova Italia dei Comuni, quella federal-egoista.
Soft law. Per due volte consecutive, nel giro di pochi giorni, mi sono imbattuto in queste parole. Prima in un “vecchio” intervento [pdf] di Stefano Rodotà sull’Internet Bill of Right, poi per bocca del ministro Renato Brunetta a proposito di testamento biologico. Il senso è più o meno quello di regole che – pur non provenendo dal legislatore, pur non avendo forza coattiva – producono effetti giuridici in virtù della loro autorevolezza. «Il soft law – diceva Rodotà nel 2007 – sarebbe lo strumento più adeguato a regolare una società in perenne cambiamento, mobile, diffusa, per certi aspetti persino inafferrabile, quale è appunto quella dell’informazione».
L’evanescenza (se non la latitanza) delle autorità non è una novità. Ne rendono agevole testimonianza le leadership liquide, adattative, contrapposte ad una visione istituzionale perfino all’interno dei “partiti” (basta ascoltare Giuliano Ferrara sulla dicotomia Berlusconi-Fini nel PdL [mp3]). Oppure la crescita esponenziale della sussidiarietà, la folle deregulation alla radice dalla crisi dei mutui subprime, perfino la messa in dubbio del concetto di autore (termine che proviene dalla medesima radice latina del verbo àugeo) destinato a morire secondo la predizione di Roland Barthes.
Per Dahrendorf, però, l’attuale minaccia al benessere dei paesi occidentali potrebbe indurre i cittadini ad accettare il ritorno allo stato autoritario. La ragione? Mantenere il loro standard di vita.
I genitori gestiscono la scuola dei figli. Sono 550 le coop o associazioni private di padri e madri. Fanno tutte capo – tranne in un centinaio di casi – alla cattolica Federazione opere educative, vicina alla costellazione ciellina. Ne racconta Flavia Amabile su La Stampa, spiegando che migliaia di genitori non sono affatto convinti dell’istruzione pubblica. Apro allora il bilancio dell’istituto comprensivo – questo sì pubblico – frequentato dai miei figli. E scopro che – per il funzionamento didattico, insomma per “far scuola” (non per pagare i docenti, che è un conto a parte) – pagano di più i genitori che non l’Ufficio scolastico regionale. I contributi da parte delle “famiglie”, per queste attività, ammonteranno nel 2009 a più di 108 mila euro. Lo Stato ci metterà poco meno di 3 mila euro attraverso quello che una volta era il Provveditorato. E forse ha smesso di esser chiamato così perché non provvede più ad un granché per gli studi. Il Comune sborsa più o meno 15 mila euro, la Provincia 3 mila.