Per un giorno sono stato uno spammer. Sì, un imbrattatore di caselle email. Insomma uno di quei personaggi – assimilati (ingiustamente) agli hacker – che ti imballano la posta elettronica di improbabili offerte di Viagra, inviti a chat osée o a resettare il tuo conto Bancoposta, pure se sei uno che, alle Poste, non daresti in custodia neanche un cartolina senza francobollo. E sono stato, ignaro, tra gli spammer senza muovere un dito, né installare software sospetto o aver prestato il fianco, per scarsa difesa del mio pc, a qualche intruso nel computer. Ci ha infatti pensato il provider – forse per leggerezza – a farmi iscrivere, per una giornata, nella lista nera della Rete, nell’elenco dei reietti del web, quelli il cui indirizzo in rete viene additato con “dagli all’untore”.

«E vabbé, ma tu sei uno smanettone. Per forza ti capita». E no, cari: chiunque può provare la mia stessa ebbrezza. Neanche si deve sforzare, basta avere un abbonamento Adsl ad un qualsiasi fornitore che assegna “IP dinamici”. Tradotto: ogni volta che il modem si accende, nella maggior parte dei casi i vari fornitori internet ti appioppano un diverso numero di indirizzo – l’IP appunto – che serve ad identificarti nel web. Ebbene, il mio provider mi ha affibbiato ieri un indirizzo che figura nella lista nera di CBL, una sorta di banca dati per i “protestati” di internet. Liste di proscrizione che, tra l’altro, qualcuno vorrebbe estendere in maniera ancor più illiberale ad altri territori della rete. Ma questa è un’altra storia.

Torniamo alla giornata da spammer. Quale era la colpa associata al mio IP? Il 23 settembre, alle ore 16, era stato pizzicato in azione a quell’indirizzo Bobax spambot , in pratica un “verme” informatico che spara email a tutto spiano. Uno spammer automatizzato, insomma, di quelli che ti attacchi chissà come, forse anche per qualche eccesso di imprudenza. Indago un po’ e scopro che in quel giorno e a quell’ora nessun computer di casa era connesso alla rete. Poi, quando leggo che Bobax è una vecchia conoscenza degli esperti e  si impadronisce dei pc con Windows, mi vien da ridere a crepapelle: uso Linux, un sistema operativo che virus ed affini manco sa cosa siano. Figurarsi di Bobax, che usa il server di posta dei vecchi Windows!

Da ciò deduco che mi deve esser capitato in sorte proprio l’IP di qualcun altro, spammer e pure “bloccato”. Però anziché toglierlo di mezzo, e spero per errore, il mio fornitore di Adsl l’ha appioppato alla mia connessione. Finire in blacklist, la lista nera, è stato un gioco da ragazzi. Come automatico è stato togliermi di dosso la casacca di “untore”: ho spento e riacceso il modem e, voilà, ecco un altro indirizzo. Pulito. Ora l’IP maledetto è purtroppo di nuovo libero per il riuso, magari ai danni di qualche altro sventurato ed inconsapevole utente della rete. Non gli capita niente, se ha un webserver visibile in rete sarà irraggiungibile, ma se qualcuno si mette ad indagare su qualche improvvido caso di spam, l’ignaro utente finirà nella lista dei sospettati.

Le società telefoniche, evidentemente, hanno per vizio di riutilizzare i numeri marchiati a fuoco dall’ignominia. E deve essere un vizio vecchio. Anche la mia utenza telefonica, di quelle che non compaiono in elenco e ti fanno apparire sul display numero riservato quando ricevi una loro chiamata, ecco una di quelle utenze chiesta per ragioni legate al mestiere di cronista (allora di nera), fu frutto di riciclaggio. La vicenda è vecchia di quasi 15 anni, ma esemplare. La mia segreteria telefonica, appena ricevuto il numero “segreto”, registrava infatti – durante la giornata – strani messaggi. “Complimenti maestro per il suo ultimo disco”, “Ho visto il suo taglio di capelli, preferivo l’altro” e via riempendo il nastro di insulsaggini da fan. Finché un giorno a sciogliere l’arcano è un conoscente che, ascoltando la nostra risposta alla cornetta, esclama meravigliato: «Ma che ci fai lì? – e fa il nome di un celeberrimo musicista partenopeo – Questo è il suo numero». Era il suo numero. Ed era pure infestato di disturbatori. Ma l’azienda telefonica me l’aveva riciclato, come niente fosse.