Il negazionismo sarà dichiarato reato. Ma cosa accadrà se un domani, cambiata maggioranza, si stabilisse per legge che la verità ufficiale non è più la nostra?
Il negazionismo sarà dichiarato reato. Ma cosa accadrà se un domani, cambiata maggioranza, si stabilisse per legge che la verità ufficiale non è più la nostra?
La geografia è ormai marginale a scuola, c’è il web. Ma Fb sbaglia le regioni delle città. Ora, dopo le proteste, corregge quelle delle Marche . Ma altrove?
Per scoprire se si ha un antenato schedato come “pericoloso” nel Ventennio (ma anche prima) basta una semplice ricerca web all’Archivio di Stato. Irresistibile per chi vuol (ri)costruirsi un pedigree “contro”, ma anche foriero di cocenti delusioni su eroi di famiglia dimenticati dalla polizia politica.
Nell’immenso disordine che regna nella Babele della mia biblioteca domestica si sono creati, stamane, due vuoti che attendono di esser colmati. Il primo è per un testo di David Weinberger, uno degli autori dell’ipercitato Cluetrain Manifesto (qui in italiano), quello dei mercati sono conversazioni, per intenderci. Si intitola “Elogio del disordine” (Everything Is Miscellaneous, nella versione inglese) ed in 365 pagine promette di svelare la potenza del nuovo disordine digitale. Una serie di argomentazioni sul “nuovo ordine dell’ordine” che fa il paio, per contrasto, con l’altro posto vuoto sulla mia libreria: “La vertigine della lista” di Umberto Eco (la recensione di Apogeo). Li ho già messi tra i desiderata su Anobii e appena terminato l’ultimo libro che sto leggendo, li affronterò. Anche se non so, ovviamente, in quale ordine.
La lista è ricerca di un criterio per fare “ordine”, lo dice pure il risvolto di copertina del volume a firma del semiologo alessandrino. Il tag, del quale, invece, argomenta Weinberger a proposito di disordine (e non senza critiche) appare un metodo per la definizione di n criteri. L’etichetta, benché possa sembrare un atto minimo e residuale dello stare connessi, ha tanto appassionato pure Derrick De Kerckhove: «Il tag è il messaggio». Per non dire di Roberto Maragliano, che ne ha fatto un esperimento tutto italiano dove l’emersione della lista o, meglio, della non gerarchia di una nuvola di etichette è affidata non solo al singolo, ma anche alla cooperazione degli altri: ThinkTag. D’altronde questa smania di “etichettare”, di taggare, senza una tassonomia predefinita – così, pragmaticamente e senza un’astrazione classificatoria preventiva (e un po’ velleitariamente platonica), può rappresentare l’unico possibile fil rouge nella selva delle connessioni che (co)estiste nel web ormai tracimato nella vita quotidiana. Basti, come test embroniale, il progetto Semapedia e a quanti altri possono seguirne l’esempio.
Caotico esistenziale accumulo oggetti, ritagli e pubblicazioni che lì per lì catturano il mio interesse in vista di un uso successivo. Uso post-it gialli come segnalibro, impiastro a matita i bordi bianchi dei libri e fotocopio quel che posso. Tutti metodi collaudati, direi da decenni. Ma al momento del bisogno non riesco ad aver ricordo di tutti e maledico il non averli taggati in un qualche database. Insomma, vorrei tanto “etichettare” la realtà. Ho perfino trovato un applicativo Linux per farlo: ai pigri e i tradizionali(sti) offre le classiche collezioni, ai disordinati di buttar dentro il database e appiccicarci qualche cartellino di riconoscimento. Tempo fa trovai illustrato in un catalogo uno scanner che grazie ad etichette RFID ritrovava documenti in mucchi informi di carte. Inutile dire che mi sono perso il catalogo.
Mio padre ha scritto un libro. E fin qui nessuna notizia. Ne ha fatto uno di storia locale, di quella che non entra mai nei libri con la “L” maiuscola, dove parla di una guerra senza Eroi (ed anche qui le maiuscole contano). Durante la presentazione, una storica di professione si lamenta che con email, internet ed il progressivo bitmapping della realtà gli archivi stanno restando inesorabilmente vuoti. “Faccio un esempio – mi dice – il Ministero della Pubblica Istruzione non ha più circolari stampate, vengono tutte diffuse per posta elettronica. Per noi è la disperazione, come disperati sono gli archivisti che cercano in ogni modo di procurarsele su carta”.