Nella scuola di mio figlio c’è un ripetente. Fa la prima elementare. Per quanto possa sembrare incredibile accade già, anche senza quel “5” in una sola materia che il decreto Gelmini coverebbe in grembo. «E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati» direbbe, se fosse ancora tra noi, quel don Lorenzo Milani che Marcello Veneziani ha indicato, nello spasmo di dire qualcosa di originale, come ideologo dell’antimeritocrazia.
Se il ripristino dei voti, del maestro unico e del sette in condotta hanno il sapore antico delle ‘cose buone di una volta’ – il Mulino bianco dell’istruzione, insomma – l’idea liberal di rilanciare l’abolizione del valore legale al titolo di studio mette il ministro Maria Stella Gelmini all’avanguardia. Addio università che sono ‘promozionifici’ attenti ad evitare i fuori corso per non perdere finanziamenti, addio agli asini divenuti docenti per investitura baronale, addio a quella malriposta fede nel “pezzo di carta”. Eppure in questa faccenda cui si potrebbe applaudire a scena aperta c’è un retrogusto centralista, da Stato balia – e pure classista – nonostante si utilizzi un termine anglosassone che fa tanto “tre i”: impresa, inglese, innovazione. E’ il rating.
“Primo giorno di scuola: quattro su diciotto con il grembiule. Gli altri? Senza. Una prima elementare a caso, in un piccolo centro”.
Annotavo così, quattro anni fa, all’esordio di mio figlio alla Primaria. Dopo una lunga ed estenuante attività di convincimento con insegnanti e genitori, l’Istituto – del quale nel frattempo sono divenuto presidente – ha introdotto l’obbligo dell’indumento scolastico per tutti gli alunni di materna ed elementari durante la loro permanenza nella scuola. Il voto del Consiglio è stato pressoché unanime: docenti, rappresentanti dei genitori e personale amministrativo. Un solo astenuto.
Recom, alleato di Freezer, ha fatto la stessa fine della Medusa. Il suo sguardo pietrificante è stato riflesso da uno specchio, imprigionandolo così in un involucro di pietra. Il paragone con lo scudo di Perseo non mi è stato però proposto da qualche erudito grecista, bensì da mio figlio di nove anni e mezzo. La sua generazione mi sta dimostrando un’inattesa dimestichezza con le complicate storie di dei olimpici ed umani che tanto ci affannarono ai temi del liceo. Si appassionano, si aggiornano e – proprio come accade a proposito di Dragon Ball, Dragon Ball Z e Dragon Ball GT – c’è anche chi “inventa” pezzi di mitologia. A proporglieli è la maestra, che ha approcciato la storia della Grecia passando per il mito.
L’ipotesi che la frequentazione con gli intrecci dei manga possa aver coltivato un’abilità nel dilstricarsi con relazioni e profili dei miti classici si è fatta lentamente largo. Constatato che il cartoon anni Ottanta Pollon non c’entrava (cosa che mi era stato suggerito di verificare), il sapere che nella serie giapponese – oggetto ora di furiose raccolte di playcard – figurano la discesa di Goku agli Inferi, che nella storia personale dell’eroe c’è un fratricidio verso Radish (evocatrice di Romolo e Remo) o che le battaglie vedono coinvolti una qualche sorta di deus ex machina mi ha confortato nella mia (forse) illusoria convinzione. C’è anche una presenza di androidi, con tanto di sentimenti ed affetti, tanto per richiamare altre epiche cyberpunk.
Non è però tanto l’utilizzo di schemi narrativi consolidati, di richiami epici, di citazioni più o meno implicite (ancorché, magari, involontarie) a far balenare un’insospettata funzione “formativa” dei manga.
Mi candido alle elezioni del Consiglio di Istituto. Mica alla Camera. Eppure mi sento tanto liberalsocialista. Perché? Ecco cosa ho scritto ai miei potenziali elettori.
La scelta di candidarmi è stata dettata da una serie di ragioni che – suppongo – ti siano ormai ben note. Quel che è la scuola oggi influirà molto su cosa e come saranno i nostri figli domani. Questa considerazione, forse banale, mi induce a portare avanti una visione dell’istituzione scolastica nella quale i nostri figli non sono mai numeri o nomi e cognomi – come invece è purtroppo accaduto a causa di norme e provvedimenti ministeriali – bensì “bambini”. Ognuno diverso dall’altro, ognuno inserito in uno specifico ambiente familiare e sociale (non solo locale), ognuno con le sue individuali necessità e potenzialità. Gli insegnanti ed il personale della scuola hanno supplito a queste disfunzioni di natura burocratica. Ma credo che, insieme, si debba e si possa fare di più. Mettere al centro della scuola il bambino, la sua famiglia ed il suo ambiente è qualcosa che – a mio modo di vedere – passa per alcuni principi.