Foto di Ioan SameliDieci italiani, cinque romeni e un croato restano saldamente in pugno di un manipolo di pirati al largo di Laasqoray. Sono a  bordo di una nave paradossalmente battezzata Buccanneer, bucaniere, senza che in apparenza ci si preoccupi più di tanto. Neanche della effettiva nazionalità dei corsari che imperversano a largo della Somalia. Frattanto noi ci distraiamo con chi vorrebbe mandare in un museo The Pirate Bay, il motore di ricerca dei file torrent che innalza vele con teschio ed ossa.  A parte il fatto che un server dell’allegra comitiva di bucanieri svedesi è già finito in una teca, il pronunciamento dei giudici di Sua Maestà Carl XVI Gustaf Folke Hubertus Bernadott rappresenta da un lato una vittoria di Pirro – il sito funziona  e, vista l’architettura distribuita, funzionerà ancora – dall’altro un “attacco al cuore della Rete“. Basta provare a cercare un file torrent su Google e su Pirate Bay per scoprire che i due sistemi si somigliano. «Pirate Bay – osserva Marco Gambaro, docente di economia della comunicazione – funziona fornendo i link a siti e com­puter in cui i suoi utenti trovano il materiale da scambiare e copiare. Un’attività che, secondo i promotori del sito, è analoga a quella svolta dai motori di ricerca. Per cui, nel caso la condanna fosse confermata, sarebbe uno degli strumenti al cuore della rete ad essere messo in discussione».

Tradotto: se diventa illegale linkare contenuti “illegali”, anche Google e i suoi fratelli rischiano di finire fuorilegge. Una prospettiva inconcepibile, se non altro perché gli stessi giudici per lavorare avranno fatto uso proprio di qualche search engine.

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