Social network, internet e new media. Su questo argomento il 32% dei candidati ha scritto il proprio saggio breve di Maturità. Ma se apro i libri di testo dei miei figli trovo l’informatica relegata tra le materie scientifiche. C’è di peggio: le sezioni dove si osa parlare di comunicazione nulla hanno a che vedere con il web. Anche quello liquidato tra chi ancora considera il computer, letteralmente, un “calcolatore”. Se non una calcolatrice intelligente. Né le cose migliorano dopo, figurarsi di insinuare che si tratta di argomenti umanistici come il latino. Per confermare questa nefasta impressione basta solo guardare le materie del neonato Liceo Scientifico ad indirizzo tecnologico: la lingua di Seneca è stata cancellata. Non serve, evidentemente.
Ma alla Maturità si chiede ai ragazzi di parlare di cose delle quali i loro prof probabilmente non dovrebbero saperne istituzionalmente un tubo: non figurano nel programma di studio. Basti a segnare che un saggio di comunicazione è stato inserito nell’area tecnica. E, se ne sanno, i pur bravi insegnanti, lo devono alla loro personale cultura. Fatto sta che i ragazzi dovranno essere giudicati nell’esame più “importante” da gente che, giustificatamente, potrebbe non saper di cosa si parla. Mario Morcellini ha definito il tema «una parentesi di finta modernità», che certo non smentisce «l’ignoranza e impreparazione della politica italiana». E’, d’altronde, la stessa perversa logica che ha costretto quei docenti di alcune medie a suggerire soluzioni agli esaminandi di terza: troppo difficili le prove Invalsi, quelle uguali in tutta Italia? Dopo averli allevati tra la bambagia, il Ministero ha voluto fare un olocausto dei novelli “somari”? O ci voleva troppo a proceder per gradi e sottoporre questo genere di prove (diverse da temi, problemi ed esercizi vari cui i ragazzi sono abituati) durante gli anni di scuola o preparare magari meglio quei docenti che si sono spaventati loro di fronte a test che altri hanno giudicato fattibili e coerenti con i programmi?