La geografia è ormai marginale a scuola, c’è il web. Ma Fb sbaglia le regioni delle città. Ora, dopo le proteste, corregge quelle delle Marche . Ma altrove?
La geografia è ormai marginale a scuola, c’è il web. Ma Fb sbaglia le regioni delle città. Ora, dopo le proteste, corregge quelle delle Marche . Ma altrove?
Prima era un sospetto. Ora è quasi una certezza. E’ come se il navigatore mi volesse dimostrare – ed è di questo che mi trovo sempre più persuaso – della sua indispensabilità. Non che fosse un disegno preordinato di qualche astuto programmatore nei panni del grande fratello del marketing, quanto semmai un naturale portato dell’ibrida esistenza che conduciamo.
E dire che ho scoperto di esser miope proprio grazie ad una cartina. Un giorno a scuola smisi di vederla, era troppo lontana su quella parete. E quindi – andando a memoria – sfarfallavo. Visualizzavo sì nella mente la collocazione di una provincia, di una cima o di un corso d’acqua, ma avevo perso i “ganci” – dati dal disegno di pianure e vie di comunicazione – indispensabili per descrivere, a naso, l’economia della zona. Memoria visiva, chiamatela, se volete. E infatti fu l’oculista a permettermi di recuperare il voto all’interrogazione successiva grazie a un bel paio di fondi di bottiglia. Oggi, proprio quando il “visuale” sembra essere un must, sembra che sfugga ai più giovani, quelli della cosiddetta generazione digitale, la capacità di memorizzare la posizione nello spazio di un luogo geografico.
Va meglio se i giovanotti ne hanno fatto esperienza, anche se solo a 3D con StreetView. Ma talora – confesso – anche l’apprendimento “esperienziale” radica inganni tremendi. Come uno dei miei: aver messo mentalmente Cremona in Emilia Romagna, e solo per l’aver fatto il militare in un plotone dove marciavano assieme un cremonese ed una pattuglia di parmensi. Dialetti simili, associazione di idee automatica. E per me matita blu – se ancora esistesse – in geografia. D’altro canto basta pensare alla campagna pubblicitaria della Riviera Adriatica con il comico Paolo Cevoli. Romagnolo doc quanto una piadina, è anche protagonista dello spot di Fastweb con Valentino Rossi, il quale invece – nonostante l’accento ingannatore – tutto è tranne che suo conterraneo. E’ marchigiano, di Tavullia, provincia di Urbino. Effetto schiacciamento et voilà, quanti a primo colpo – solo sulla base dell’esperienza – hanno collocato finora il campione motociclistico nelle Marche?
Quel che è “divertente” – e si fa per dire – è il senso di smarrimento che sembra cogliere i reatini e i sabini. La distinzione tra i due “popoli” sa di finezza, ma chi li conosce ne capisce l’evidenza. Fabio Melilli, il presidente dell’amministrazione provinciale – ironia del destino: già presidente dell’Unione province d’Italia – è, oltre che contrariato, a dir poco perplesso di fronte alla prospettiva che la confinante Roma abbia una sua area metropolitana. «Aspettiamo con ansia – dice – che il Governo ci spieghi, visto che dovrà sparire la Provincia di Roma, se dobbiamo essere accorpati a Terni a L’Aquila, o ad Ascoli e in quale Regione finiremo».
Infatti il punto è proprio questo. Rieti come provincia “non esiste” . Ma neanche sa dove andare. Il Reatino non ha una “unità socioculturale”, come quella di una “nazione”, per intenderci. L’anno scorso sventò la secessione di Leonessa verso l’Umbria. Periodicamente fa i conti con le spinte centripete verso l’Abruzzo delle fasce a est. Per non dire di quelle della porzione di Bassa Sabina ad ovest, incuneata tra il Viterbese e il Ternano. Neanche la stessa definizione di Sabina è tutta d’un pezzo. Esistono – raccontano gli archeologi – una Sabina tiberina, una romana, una velina e, forse, se la memoria non mi tradisce, finanche una picena.
Non parliamo dei dialetti, diversi tra di loro come poche volte. Il motto della Provincia d’altronde è Tota Sabina Civitas, “tutta la Sabina è una città”. Sembra quasi “l’uniti nella diversità” della Ue. Una eterogeneità tale che si percepisce perfino quando si parla di punti fermi in termini cartografici. In provincia di Rieti ci sono infatti la bellezza di due “centri geografici d’Italia”: uno in una piazza del capoluogo, simboleggiato da una sorta di gigantesco monumento al Bel Paese (quello della Galbani, non la Penisola). Ed un altro tra Antrodoco e Borgovelino nel cortile di una stupenda chiesa romanica. Vai a capire quale è quello giusto, mentre pure Narni – dalla vicina Umbria – reclama la primazia del suo umbilicus Italiae.