Ho finito i sacchetti di carta per la raccolta differenziata. Non è un dramma, ma senza compostiera domestica la vita rischia di diventare dura. Se non altro dal punto di vista olfattivo. L’umido allora mi tocca metterlo nelle buste del pane perché gli addetti lo raccolgano. Il mio comune, infatti, è rimasto senza scorte – ci sono stati più rifiuti da smaltire rispetto alle previsioni – ed i rimpiazzi arriveranno solo tra una decina di giorni. Nel frattempo i solerti netturbini “ecologici” mi hanno invitato ad usare le buste di “Mater Bi”, sacchetti di plastica di mais e patate che produce a Terni la Novamont. Già, se non fossimo in Italia.
Gli shopper biodegradabili sarebbero dovuti divenire obbligatori da gennaio 2010. Ora leggo che lo saranno dal 2011. Frattanto – proprio l’altro giorno – nella vituperata Campania, quella dell’emergenza rifiuti e delle scorrerie dei casalesi, è partito il progetto “No plastic bag”. Il comune si chiama Caiazzo, 6 mila abitanti in provincia di Caserta, e nel suo territorio sarà possibile fare la spesa solo con sacchetti biodegradabili certificati e compostabili dal Consorzio italiano compostatori. Uno schiaffo in faccia al ritardo delle sperimentazioni del Ministero dello Sviluppo economico, fanno capire quelli di Legambiente. Ma, quel che conta di più e al di là delle polemiche, si tratta di un modo intelligente per ridurre l’inquinamento – un sacchetto di plastica è “per sempre”, proprio come i diamanti – e lo spreco di energia. L’idea è quella di coinvolgere le città italiane e straniere che aderiscono a Cittaslow e poi tutti gli 8 mila comuni della Penisola.
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