Foto di Mario RagonaSe applicassero il criterio della reciprocità, l’Artusi, il grande classico della cucina italiana, finirebbe al rogo. «Per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania» scrive. E così il grande Pellegrino snocciola a seguire, al numero 182 del celebre ricettario, una versione dei krapfen rivista e corretta. Alla faccia del Deutschland über alles. Artusi fa pure il bis nel taroccare quella che chiama una tedescheria, inventandosi perfino i krapfen II. E, tanto per gradire, dà addirittura un nome francese – gâteau à la noisette – a un capolavoro di pasticceria fatto di nocciole di Avella, provincia di Avellino. Italia.

E’ umano di contro, per tre italiani su quattro, provare dei brividi a fronte dell’abitudine belga di ‘violentare’ la carbonara con la panna senza il pecorino o quella tedesca di impiegare l’olio di semi nella cotoletta alla milanese. Per non dire del tiramisù all’olandese senza mascarpone, della caprese con formaggio industriale, della pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli. «La mancanza di chiarezza sulle ricette Made in Italy – secondo la Coldiretti, in un proclama fatto ieri a Bruxelles – offre terreno fertile alla proliferazione di prodotti alimentari taroccati all’estero dove le esportazioni di prodotti agroalimentari tricolori potrebbero quadruplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale che è causa di danni economici, ma anche di immagine». Danno stimato in 50 miliardi di euro.

Se la crociata all’estero dei coltivatori diretti è più che sensata quando si parla di “contraffazione” circa la provenienza (di frode in commercio si tratta), prendersela con la formulazione o l’esecuzione delle ricette è, quanto meno, singolare. Si rischia infatti di entrare niente di meno che nel campo sulla libertà di espressione.

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