Foto di BazzaDaRambler

 

Incastellamento digitale. E’ la soluzione che editori tradizionali(sti) e politici (culturalmente reazionari) hanno scelto per “risollevare” le sorti del Paese. Ma così lo affosseranno ancor di più, e non otterranno nulla. E’ una manovra a tenaglia, apparentemente priva di un disegno, ma che –  inconsapevolmente – tradisce un desiderio profondo: arginare la concorrenza di chi sa innovare. L’importante insomma – al di là delle “alte” spiegazioni ufficiali – è fermare le scorrerie di Amazon, Google, Facebook e compagnia. Fregandosene della libertà di espressione, della crescita, della possibilità di immettersi in quei settori, di dove va il mondo e delle sorti di cultura ed economia italiane. Ecco come.

Libri (cari) come medicine. I libri, inclusi quelli scolastici, si possono scaricare dalle tasse come le medicine. Bellissimo. Da batter loro le mani. Poi scopri che dal beneficio sono esclusi gli ebook. Ti chiedi perché e l’unica spiegazione “plausibile” è che qualcuno abbia equivocato. Magari pensando che quelli si “scaricano” già, seppure con un download. In ogni caso resta ferma, per orientamento Ue, l’Iva al 22% anziché quella agevolata riservata ai libri di carta. Ma – paradossalmente – per le scuole si vagheggia per decreto di sostituire i costosi libri di carta con ebook, magari autoprodotti. Si vagheggia, appunto, non si vaneggia come potrebbe sospettarsi.

In realtà l’operazione ha nel mirino un solo “nemico”: Amazon. L’illusione è che la gente vada più facilmente dal libraio, anziché usare il Kindle, perché gli rilascia lo scontrino. Il risultato sarà invece che il gigante inventato da Bezos venderà più libri per corrispondenza che testi digitali, senza che le librerie italiane – quelle di bassa qualità e isolate telematicamente (quando ormai anche il negozio di scarpe sotto casa ha un suo e-shop) – smettano di chiudere. E gli editori tradizionali(sti) continuino a guadagnare.

E gli ebook? Quelli italiani – e di autori italiani – penalizzati, quelli smerciati da chi può fare economie di scala mondiale, come iTunes ed Amazon, pressoché indifferenti. Se il prezzo è molto basso, come si può riuscire a fare con i libri elettronici, che io me li possa scaricare o meno dalle tasse è pressoché irrilevante. Prima parete del castello innalzata.

Web-Tax: chi paga sei tu. Google, si sa, paga le tasse in Irlanda. Stesso giochino fanno gli altri giganti del web, come la sopra citata Amazon (che versa in Lussemburgo). E questo riconosce loro un vantaggio concorrenziale rispetto ai concorrenti, ad esempio, italiani. Scorretti. E così 9 parlamentari – trasformando in emendamento una proposta di Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio alla Camera – ottengono che nella legge di stabilità sia inserita una tassazione Iva speciale. Non una tassa sui redditi, attenzione, ma – colpo di genio – una sul valore aggiunto. Quella, insomma, che pagano i consumatori, mica chi incassa.

«La proposta è semplice e non originale – osserva Guido Scorza, avvocato e attivista dei diritti civili online – imporre a chi fornisce servizi telematici in un determinato Paese Ue da un altro paese Ue di pagare l’Iva nel paese di destinazione dei servizi anziché in quello della propria sede». In pratica, sarebbe come dire ad un’azienda straniera che per vendere in Italia deve dotarsi di una partita Iva tricolore. Una bella fregatura per i consumatori, gli unici a pagare: quel che altri all’estero acquisteranno a prezzo concorrenziale, in Italia sarà a prezzo maggiorato. Non si lancia la proposta di uniformare le tasse a livello europeo, ci si incarta nella Penisola.

Ma chi l’ha avuta questa ideona sull’Iva? «Nota di colore – rivela Roberto Scano, membro della cabina di regia per l’Agenda Digitale Italiana – 5 su 9 sono provenienti da regioni a Statuto Speciale (un siciliano e 4 Trentino Alto Adige), ossia aree che beneficiano di agevolazioni fiscali rispetto al resto del paese». Non bisogna poi essere esperti di diritto comunitario per capire che si tratta di una limitazione alla libera circolazione di beni e servizi all’interno della Ue. Tradotto: se entra in vigore, lo Stato italiano sarà sottoposto a procedimento comunitario e alle relative sanzioni milionarie. Oltre ad aver allontanato – alla faccia dei bei sogni di “Destinazione Italia” – i businessman stranieri dalla Penisola. Seconda parete del castello innalzata.

A me gli occhi (e pure i quattrini). Le altre due pareti nelle quali chiudere la cultura, e le opportunità di sviluppo economico legate a innovazione, creatività digitale e start-up, l’hanno piantate in terra l’Autorità garante per le comunicazioni e proprio “Destinazione Italia”.

«Il 12 dicembre, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – ha scritto sempre Scorza, ma su Il Fatto Quotidiano – ha varato la sua personalissima nuova legg(ina) sulla tutela del diritto d’autore online, attribuendosi – in un’inedita sintesi dei tre poteri dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario, ndr) – il potere di vita o di morte su qualsiasi genere di contenuto pubblicato online e ripromettendosi di esercitarlo nell’ambito di procedimenti sommari da codice militare di guerra e previo sostanziale esautoramento dei Giudici che, sino ad oggi, si sono occupati di far rispettare le leggi in materia online come offline». Insomma basterà mettere una colonna sonora su un video per ritrovarsi in ganasce. Anche qui la battaglia non è che contro un ben definito gruppo di nemici: YouTube e quanti altri consentano di realizzare prodotti creativi fuori filiera.

Aggiungiamoci, poi, che grazie a “Destinazione Italia” non sarà più possibile linkare, indicizzare, incorporare, aggregare un contenuto giornalistico senza il permesso alle associazioni di categoria degli editori per capire come costoro – visto che la stragrande maggioranza del traffico ai loro siti viene dai social media (e qui il “nemico” è Facebook) – si stiano suicidando.