E chi se la dimentica quella Opel Astra? Si spense il giorno successivo alla scadenza dei due anni di garanzia proprio davanti ad un’officina autorizzata. «Centralina elettronica» sentenziò il meccanico. E senza neanche aprire il cofano. In compenso fui io a dover aprire il portafoglio, rimettendoci un bel pezzo di stipendio. Confesso però che – da allora – commetto peccato, se non altro perché per diletto “programmo” il mio computer e, volendo, so come si può far smettere di funzionare un software ad una data prefissata. C’è però chi a forza di pensar male come me, ma in casa anziché su strada, come fatto come fatto dall’associazione ambientalista francese Les Amis de la terre ha scoperto che gran parte degli elettrodomestici moderni – anche i più tecnologicamente strepitosi – soffrono di “obsolescenza programmata”.

Se le lavatrici di una volta centifrugavano tranquille per vent’anni, adesso è facile imbattersi in macchine che al quinto anno di lavaggi fermano il cestello. Se in Francia, dove lo studio è stato fatto, il concetto di obsolescenza programmata è poco conosciuto, in Gran Bretagna è ben più diffuso. In Italia se ne parla, ma ovviamente tra i patiti dell’ecologia. E per innescare il perverso meccanismo che porta ad acquistare nuovi elettrodomestici a scadenza non c’è solo il ricorso a materiali scadenti o assemblaggi approssimativi. «Si può ridurre la durata di vita di un prodotto – osserva Anne-Laure Wittmann de Les Amis de la terre – facendo in modo che non sia smontabile: per esempio quando la batteria, anziché essere avvitata, è saldata». Valla a sostituire, se ne sei capace. E i servizi di assistenza post-vendita? Servono per rassicurare il cliente, non per intervenire concretamente. Provate ad andare con il cellulare in panne dal tecnico con i “galloni” di fabbrica e constatate quante volte vi verrà detto che “non c’è nulla da fare”.

Inutile dire che se da un lato questo meccanismo “sostiene” i consumi, in termini di contabilità complessiva implica un aumento dei costi per i rifiuti elettronici da smaltire o, nel migliore dei casi, riciclare. Non bisogna essere degli esperti di economia per comprendere però che da un lato, affinché questo ciclo di consumo funzioni, è necessario che gli elettrodomestici costino sempre di meno. E quale sistema migliore, per contenerne i prezzi, se non quello di ricorrere a manodopera a buon mercato all’estero? Meccanismo suicida, visto che Ford costruì la sua modello T per i propri operai. Di contro aumentano i “rifiuti speciali”, quelli che non puoi buttare neanche nel cestello dell’indifferenziata. Le risorse naturali vengono così sfruttate sempre più intensamente: un cellulare può arrivare a contenere 12 metalli differenti, fino ad un quarto del suo peso. A questi ritmi rame, piombo, nichel, argento, stagno e zinco, ma anche alluminio e ferro, rischiano di esaurirsi prima del previsto. Oltre a consegnare un potere incredibile nelle mani di chi  ne controlla l’estrazione.

Più la tecnologia ammorta i costi di produzione, più diventa diseconomico – per il consumatore – tentare la riparazione. Ma a farlo stare tranquillo, all’atto dell’acquisto – che potrebbe metterlo in ansia circa le prospettive di durata – sono i proclami di “assistenza”. Non c’è catena commerciale che in occasione del tuo acquisto tecnologico, quindi fragile ed esposto all’obsolescenza (non solo da progresso dell’hi tech), non ti proponga una qualche forma di estensione di garanzia. Ma a ben vedere non si tratta di impegni che prende il costruttore o il retailer, quanto piuttosto si tratta di assicurazioni. Sì, polizze. A rischiare non sono produttore o venditore, ma la compagnia con la quale ti assicuri (pagando) e che di fatto i commercianti di apparecchi tecnologici non fanno altro che mettere sul mercato. Le deboli reminiscenze sul diritto civile mi fanno sovvenire che quel tipo di contratti sono chiamati, da decenni, aleatori. Insomma, la loro caratteristica è sintetizza in una parola latina: l’alea. Vale a dire il rischio. Comprarne è come scommettere sulla vita del nostro nuovo televisore.