Da quando sono cittadino di Stop the Fever City, una comunità virtuale di coscienza ambientale (quasi una Second Life contro l’effetto serra), ogni volta che mi lavo i denti mi sento rimordere la coscienza. Me l’hanno fatto notare proprio loro, i promotori dell’iniziativa per il risparmio di CO2: tenere il rubinetto aperto produce riscaldamento (globale), altro che acqua fresca. E che dire allora del riciclo degli scarti, dello spegnimento degli stand-by degli elettrodomestici o dello scrivere sull’altro lato dei fogli usati?

Ecco, proprio quest’ultimo gesto di responsabilità ambientale – ma anche conseguenza dei tagli alla Giustizia – rischia di riscaldare, per ben altre ragioni, le aule del Tribunale di Latina. E’ infatti accaduto che sulla bacheca del palazzo pontino siano apparsi degli atti “riciclati”. Sì, quelli affissi in pubblico sul fronte erano carteggi da pubblicare, nomi di imputati in un procedimento. Quindi atti pubblici, mentre – birichino lo scotch staccatosi dalla superficie del pannelo – dal retro dei fogli è spuntato ben altro. E tutt’altro che da pubblicare.

Stavolta – perché non è la prima volta – si è trattato di una richiesta di proroga per le  indagini preliminari, quindi coperte da segreto istruttorio, di un’inchiesta per estorsione nella quale sarebbe coinvolto un noto editore. A fine anno si era fatto di peggio: sull’altra facciata delle pubblicazioni erano addirittura spuntate delle intercettazioni. Pagine e pagine di trascrizioni scottanti su fatti di droga e altro ancora. Appartenevano al fascicolo di un processo in primo grado, ed erano lì in bella mostra. Bastava girare il foglio.

Forse si trattava né un gesto estremo di protesta di qualche anonimo funzionario contro il ddl intercettazioni, né una spontanea azione ambientalista. «Manca la carta negli uffici» aveva rivelato a suo tempo il segretario nazionale della Ugl Ministeri, Paola Saraceni. Le cose non sembrano esser cambiate oggi, oppure la buona volontà ambientale, quello dura e pura, è entrata in cortocircuito, come capita spesso quando l’azione virtuosa non entra in rapporto diretto con il contesto.

Fare i “conti” con l’ambiente

IL – Intelligence in lifestyle, il magazine mensile del Sole 24 Ore meravigliosamente disegnato dall’art director Francesco Franchi (ecco la copertina del numero uscito venerdì scorso),  a questo proposito si è preso il gusto di raccontare – con un dossier curato da Emanuele Bompan – i 24 miti ambientalisti da sfatare. E ce n’è a bizzeffe: i Suv che inquinano sì, ma meno delle deiezioni dei bovini. O i pannelli solari che non è vero siano così difficili da smaltire. E l’ecoturismo? Talora è solo marketing. I prodotti a km zero poi sono tali solo quando a veri km zero. E i sacchetti di carta – sì, proprio loro – che per esser prodotti richiedono una grossa quantità di energia ed è meglio usar le borse di tela? Ovviamente nella lista c’è anche l’orto urbano, così ricco di inquinanti da smog cittadino. Ovviamente ci sono anche forzature, ma il quadro è divertente di quanto con facilità aderiamo o critichiamo le azioni pro-ambiente.

L’ambiente fa brutti scherzi . Ne sanno qualcosa all’Ain (Associazione italiana nucleare), club pro-centrali che si diverte a censire le “bufale” antinucleari con un elenco a dir poco apodittico.  Né va tanto meglio ai detrattori di questa che – ne sono convinto – resta una follia economica. Cominciamo dal The New York Times che ha pubblicato lo scorso 26 luglio la notizia del “sorpasso verde”: se da un lato l’energia solare – si legge – è scesa a 16 centesimi di dollaro per chilowattora, quella nucleare è cresciuta inesorabilmente negli ultimi otto anni. Ma ad agosto la redazione – probabilmente insufflata dalle aziende nucleari statunitensi – si è accorta che il “pezzo” aveva dimenticato di citare che quelle tesi provenivano da uno studio era stato preparato per un gruppo di difesa dell’ambiente. Insomma, uno scivolone che in Italia – dove si pubblica di tutto purché sia buono per fare un titolo e chissenefrega di dire che è di parte o di verificare chi e come hanno fatto una ricerca – sarebbe passato del tutto inosservato.

Alla Assonucleare devono allora aver preso la palla al balzo, se è vero – come racconta Marco Maroni su Il Fatto del 21 settembre – che ha pubblicato una nota tutta concentrata a smontare la tesi americane circa la presunta convenienza del fotovoltaico (nei calcoli erano stati inseriti anche gli incentivi e non la spesa industriale lorda) rispetto al nucleare. Ma i fautori dell’atomo lo avrebbero fatto con una “cifra” di troppo. Il costo delle nuove centrali infatti sarebbe – secondo l’Ain citata da Maroni – tra i 10 e i 15 centesimi di dollaro per chilowattora. Insomma tra gli 8 e i 12 centesimi di euro, ben sopra ai 7 centesimi del costo dell’energia della Borsa elettrica italiana (oggi prevalentemente a base petrolifera) e sopra ai 6 centesimi del costo del nucleare che ha proclamato una recente ricerca, questa pure ultrapartigiana, dello studio Ambrosetti. Come dire: operazione verità sui reali costi del nucleare che non è poi così conveniente? Accortisi del clamoroso autogol, sempre secondo Maroni, gli esperti italiani hanno fatto sparire la cifra dal sito ufficiale, facendo riferimento una somma più tranquillizzante (ovviamente senza dire, stavolta loro, come sono arrivati a determinarla) per chi vuol convincerci a gettare soldi nel nucleare. Non c’è che dire: se l’ambiente è scivoloso, i numeri lo sono ancor di più.