Thomas_HawkNell’immenso disordine che regna nella Babele della mia biblioteca domestica si sono creati, stamane, due vuoti che attendono di esser colmati. Il primo è per un testo di David Weinberger, uno degli autori dell’ipercitato Cluetrain Manifesto (qui in italiano), quello dei mercati sono conversazioni, per intenderci. Si intitola “Elogio del disordine” (Everything Is Miscellaneous, nella versione inglese) ed in 365 pagine promette di svelare la potenza del nuovo disordine digitale. Una serie di argomentazioni sul “nuovo ordine dell’ordine”  che fa il paio, per contrasto, con l’altro posto vuoto sulla mia libreria: “La vertigine della lista”  di Umberto Eco (la recensione di Apogeo). Li ho già messi tra i desiderata su Anobii e appena terminato l’ultimo libro che sto leggendo, li affronterò. Anche se non so, ovviamente, in quale ordine.

La lista è ricerca di un criterio per fare “ordine”, lo dice pure il risvolto di copertina del volume a firma del semiologo alessandrino. Il tag, del quale, invece, argomenta Weinberger a proposito di disordine (e non senza critiche) appare un metodo per la definizione di n criteri. L’etichetta, benché possa sembrare un atto minimo e residuale dello stare connessi, ha tanto appassionato pure Derrick De Kerckhove: «Il tag è il messaggio». Per non dire di Roberto Maragliano, che ne ha fatto un esperimento tutto italiano dove l’emersione della lista o, meglio, della non gerarchia di una nuvola di etichette è affidata non solo al singolo, ma anche alla cooperazione degli altri: ThinkTag. D’altronde questa smania di “etichettare”, di taggare, senza una tassonomia predefinita – così, pragmaticamente e senza un’astrazione classificatoria preventiva (e un po’ velleitariamente platonica), può rappresentare l’unico possibile fil rouge nella selva delle connessioni che (co)estiste nel web ormai tracimato nella vita quotidiana. Basti, come test embroniale, il progetto Semapedia e a quanti altri possono seguirne l’esempio.

Caotico esistenziale accumulo oggetti, ritagli e pubblicazioni che lì per lì catturano il mio interesse in vista di un uso successivo. Uso post-it gialli come segnalibro, impiastro a matita i bordi bianchi dei libri e fotocopio quel che posso. Tutti metodi collaudati, direi da decenni. Ma al momento del bisogno non riesco ad aver ricordo di tutti e maledico il non averli taggati in un qualche database. Insomma, vorrei tanto “etichettare” la realtà. Ho perfino trovato un applicativo Linux per farlo: ai pigri e i tradizionali(sti) offre le classiche collezioni, ai disordinati di buttar dentro il database e appiccicarci qualche cartellino di riconoscimento. Tempo fa trovai illustrato in un catalogo uno scanner che grazie ad etichette RFID ritrovava documenti in mucchi informi di carte. Inutile dire che mi sono perso il catalogo.

Umberto Eco al “Salone del Libro” di Torino qualche giorno fa si è mostrato perplesso di fronte alla minuziosa memorizzazione da parte della Rete di ogni ben di Dio. E del suo contrario. «C’è quello che vi mettono insigni studiosi come quello che scrivono i peggiori cretini, ci sono i negazionisti e i testimoni del lager, e questa massa di informazioni ci impedisce di capire subito cosa conservare e cosa no» ha detto evocando l’Ireneo Funes di Borges (qui in pdf). Condannato a ricordare tutto el memorioso partorito dalla penna dello scrittore argentino «è un idiota. E così è il web, che trattiene tutto, che conserva ogni cosa e il suo contrario. Anche il web è, in questo senso, un idiota». Insomma, toni un pizzico “apocalittici” (e, magari, tutti gli altri immersi nella Rete appaiono un po’ integrati).

E nel j’accuse torinese dell’autore della Vertige de la liste (titolo della versione edita dal Louvre) è finita, manco a dirlo, pure Wikipedia: è confusa, nonostante somigli nelle premesse alla “comunità scientifica” di Peirce. D’altro canto, per chi non lo ricordasse, va detto che Eco ha un conto in sospeso con l’enciclopedia online: gli ha attribuito 12 fratelli, poi una moglie (che non è quella giusta) e tutto ciò pervicacemente, senza che il poveraccio riuscisse a smentire gli anonimi estensori degli errori. Le rettifiche venivano puntualmente cassate.

Il tempo fino ad oggi, per l’Eco del “Salone del Libro”, ha selezionato e consegnato ai posteri un “estratto” del mondo secondo itinerari spesso misteriosi. Dal percorso culturale a quello storico, da quello dell’incoscio alla casualità di un incendio della biblioteca di Alessandria che – nella contemporaneità – potrebbe piuttosto consistere nella smagnetizzazione dei supporti o nell’oblio dei formati di memorizzazione. Nessuno ci dice se oltre Eschilo, Sofocle e Euripide ci sono stati altri “grandi” dei quali abbiamo perso memoria. Ma questi ci sono arrivati. Adesso, nel moltiplicarsi degli archivi, dove ciascuno ha il proprio, il rischio sarebbe quello di non tramandare più una “enciclopedia di riferimento” condivisa, ma al contrario una massa di informazione senza gerarchia. In una parola un non archivio, una non cultura, dove gli autori sarebbero tutti, quindi nessuno. Un disordine per estrarre dalla quale dei temi, però, forse non ci resterà che il tag. O una Babele di tag. Sempre che qualcuno ne metta.