Centodieci con lode. Una tesi di cui si è pure parlato sui giornali. Ma a 25 anni non sa se una provincia è al nord o al sud dello Stivale. Capita. Anzi è capitato. E la madre – sconfortata – mi ripeteva: «La scuola non dà più le basi». Colpa della scuola? Macché. La cartina di tornasole che le cose non stanno così, la hai facilmente. «Dove si trova il Tanaro?», scossone di spalle dell’adolescente: non lo sa. Né si preoccupa. E non si perde: «Quando ne ho bisogno guardo sulle mappe di Google». Non è pigrizia, ma gestione dello sforzo di pensare. Troppe informazioni nella giornata, guai da attenzione discontinua, e allora meglio economizzare la fatica dei neuroni. Per dargli torto bisognerebbe addirittura contraddire Italo Calvino: “Il primo bisogno di fissare i luoghi sulla carta è legato al viaggio”, ha scritto.  La geografia, insomma, ha perso il fascino della cartografia, “muta” o parlante che fosse. E’ pura funzione pratica. Meglio la calcolatrice delle tabelline: a che serve ripetere a pappagallo sfilze di città o di numeri?

E dire che ho scoperto di esser miope proprio grazie ad una cartina. Un giorno a scuola smisi di vederla, era troppo lontana su quella parete. E quindi – andando a memoria – sfarfallavo. Visualizzavo sì nella mente la collocazione di una provincia, di una cima o di un corso d’acqua, ma avevo perso i “ganci” – dati dal disegno di pianure e vie di comunicazione – indispensabili per descrivere, a naso, l’economia della  zona. Memoria visiva, chiamatela, se volete. E infatti fu l’oculista a permettermi di recuperare il voto all’interrogazione successiva grazie a un bel paio di fondi di bottiglia. Oggi, proprio quando il “visuale” sembra essere un must, sembra che sfugga ai più giovani, quelli della cosiddetta generazione digitale, la capacità di memorizzare la posizione nello spazio di un luogo geografico.

Va meglio se i giovanotti ne hanno fatto esperienza, anche se solo a 3D con StreetView. Ma talora – confesso – anche l’apprendimento “esperienziale” radica inganni tremendi. Come uno dei miei: aver messo mentalmente Cremona in Emilia Romagna, e solo per l’aver fatto il militare in un plotone dove marciavano assieme un cremonese ed una pattuglia di parmensi. Dialetti simili, associazione di idee automatica. E per me matita blu – se ancora esistesse –  in geografia.  D’altro canto basta pensare alla campagna pubblicitaria della Riviera Adriatica con il comico Paolo Cevoli. Romagnolo doc quanto una piadina, è anche protagonista dello spot di Fastweb con Valentino Rossi, il quale invece – nonostante l’accento ingannatore – tutto è tranne che suo conterraneo.  E’ marchigiano, di Tavullia, provincia di Urbino. Effetto schiacciamento et voilà, quanti a primo colpo – solo sulla base dell’esperienza – hanno collocato finora il campione motociclistico nelle Marche?

Allora, riassumiamo. L’astrazione visuale di una mappa non è più, evidentemente, un metodo valido per apprendere la geografia. Nè averne fatta esperienza culturale, girando il mondo – seppur virtualmente – o ricevendone il racconto, mette al sicuro dallo svarione. Di imparare a memoria tutte le province neanche a parlarne, anche perché tra quelle che sono nate come funghi e quelle che annunciano di continuo di voler tagliare – senza poi aver il coraggio di farlo – c’è da uscir scemi. Non resta allora che la soluzione a basso consumo cognitivo. E cioè: cercare Lamezia Terme in un motore di ricerca per scoprire finalmente che si trova… Già, dove si trova? Bah, se mi servirà di andarci accenderò il navigatore.