Rifondazione democristianaPublio Fiori mi ha offerto la sua “amicizia”. Sì, proprio lui: il padre di Rifondazione democristiana. Confesso la mia sorpresa: tutto mi sarei aspettato, travolto come sono stato da friends infettati dall’obamismo in salsa tricolore. Tutto. Tranne questo. Come sia arrivato a me – su Facebook – non lo so proprio. A tutta prima ho attribuito la “colpa” ad un’amica, di quelle che però con lo Scudocrociato sono come il diavolo e l’Acqua Santa: di fronte ad una mia foto in abito grigio aveva scritto che le sembravo un politico “quasi democristiano”.

Dopo essermi cercato in quella “chiave” da Prima Repubblica nel motore di ricerca del social network, mi sono ricreduto. La ragazza non aveva colpe e, soprattutto, io non ero in lista come democristiano. Se lo fossi stato, significava che presto il Garante della Privacy avrebbe avuto il suo bel da fare con chi si sarebbe sentito dare del buddista o – che ne so – del circonciso. Il buon Fiori (o chi ne usa il nome) appariva, infatti, e del tutto innocentemente, nella lista di alcuni miei “amici”. Insomma, un caso di “amici degli amici”, com’è normale in FB dove ti spiattellano persone che potresti conoscere (e mai hai visto in vita tua), e dove deve esser parimenti parso normale a chi ha frequentato tante Feste dell’Amicizia chiedere la mia.

Ora, Facebook è stato appena proclamato come il brodo di coltura del successo di Obama. Anche Veltroni ne è un fan (di Obama e di FB). Di profili di Berlusconi ne esistono una valanga, come i cloni dell’agente Smith in Matrix. E diciamocelo: per ora gode pure di buona stampa, come la prima Second Life. La piattaforma, benché sia di un privato, e perfino il linguaggio che usa – lo Fbml – sia “proprietario”, sbandiera il proprio contributo alla democrazia.

Un milione e mezzo di iscritti al social network ha menzionato sul proprio wall Obama, McCain, Palin, Biden o la parola Election. In quindici milioni – di quelli in età per votare negli Usa – si sono collegati a Facebook durante l’Election Day. In media 534.509 al giorno hanno scritto la parola “Obama” contro i 169.972 di “McCain”, quasi la stessa proporzione tra grandi elettori uscita dalle urne. E ben 5,4 milioni hanno condiviso il loro voto con gli amici. Anche quelli che – come tantissimi italiani – si sono ammalati di obamismo, apoteosi del “vorrei ma non posso” (votare), in un engagement planetario che solo il web consente. Un clic non costa niente.

Tutti questi dati – distinti, volendo per sesso e fascia di età – hanno però riacceso il mio spunto iniziale: qualunque cosa si scriva in Facebook è catalogata, misurata, analizzata. Il motore di ricerca non restituirà ai politici in cerca di amicizie le opinioni reali – o attribuite – dei singoli. Ma i server di Mark Zuckerberg, fondatore, presidente e amministratore delegato di FB tutto sanno e tutto vedono. Il “valore” di Google è stato definito l’essere il “database delle intenzioni”, visto che cataloga le parole ricercate in relazione ai siti cliccati e questi in base ai link che ricevono. Facebook compie qualcosa di simile, se non di più. Chi partecipa al social network lo fa magari per supremo desiderio di cazzeggio, per coltivare relazioni o riuscire ad avvicinare individui altrimenti innavicinabili e crea, involontariamente (seppur credo/spero con consapevolezza), sterminate praterie per le scorrerie della pubblicità.

Se però da un lato Obama & Co. possono aver realmente beneficiato della gigantesca conversazione sviluppatasi in questa parte abitata della Rete, forse però il modello non può essere trasposto – pari pari – nella realtà italiana. Non dimenticherò mai come il referendum sulla procreazione assistita fosse percepito come vinto dai promotori, stando alle discussioni nella blogosfera. Partecipò solo il 25,9% degli aventi diritto, con buona pace del quorum. A forza di perder tempo su Facebook ci si rende conto sempre più che il mondo che scorre sullo schermo è quello della mia cerchia, una sorta di daily me collettivo che fa rimbombare nelle nostre stanze le voci di coloro che si ritrovano sui miei stessi interessi in una sorta di Festa dell’Amicizia digitale.

E tutti gli altri interessi, problemi e dibattiti? La maggior diffusione della cultura del web, la sua integrazione con la vita di tutti i giorni, fanno sì che in America fenomeni come quello di Facebook siano una delle componenti di una sorta realtà aumentata in senso sociale. Anche in politica. In Italia non è così: la parte del leone la fa ancora la tv, vera e propria piazza dove in tanti ascoltano e la conversazione si chiude in una stretta cerchia poco più larga del tinello di casa. Esiste un mondo parallelo, i cluster della blogosfera, i social network, YouTube che mostra la polizia in borghese tra gli studenti in piazza Navona (video che però oggi risulta soprendentemente rimosso). Tutti elementi che accendono un grande e profondo dibattito in quella che rappresenta più una grande e – si spera – “intelligente” nicchia che non (ancora) la collettività nazionale.