Obama. Roland Barthes diceva che “il mito è una parola”. Queste cinque lettere sono già entrate nel lessico contemporaneo – sovrastate perfino da un branding su quella “O” iniziale – dando vita ad una serie di derive (e derivazioni).
La prima è stata l’Obamismo, termine che indica – a mio modestissimo avviso – una nuova forma di militanza politica. Quella che non ti chiede tessere, quote d’iscrizione o magari di marciare dietro a una bandiera. L’Obamismo è l’adesione “take it easy”, facile come un click. E’ il sentirsi parte di un movimento spontaneo, nuovo, nel quale puoi mettere i “contenuti” che vuoi. Poi è venuta, ad elezioni fatte, l’Obamite. “E’ affetto da Obamite – scrive Antonio Sofi – chi evoca come il cavolo a merenda le gesta obamiane, più per cercare una disperata briciola di carisma che per innovare le prassi politiche e amministrative”.
In realtà il fenomeno Obama è una delle tante declinazioni della leadership come “exemplum” di cui parla diffusamente Zygmunt Bauman a proposito di modernità liquida. Un “esempio di vita” insomma, con unico programma se stesso – al pari al Berlusconi del 1994 (cosa sostenuta anche dal deputato di Forza Italia Antonio Palmieri) – che ha utilizzato il web (era il tema di cui si è discusso a Roma in un convegno alla Camera, anche con alcune curiose statistiche) per usare vecchi metodi attraverso la Rete, come ha rilevato Enrico Menduni: porta a porta, “vota e fai votare” eccetera.
Il nodo – per la politica italiana – è forse proprio qui: considerare internet un mezzo, qualcosa di “altro” rispetto alla realtà di tutti i giorni.