La libertà di opinione non è libertà di stampa. Sono parenti, mica gemelle. Banale? Provate a farlo emergere dalla marmellata concettuale cui, ormai, siamo assuefatti. Un conto è raccontare un evento – o esprimere un’idea – al bar, tra amici o sul web. Altra cosa è fare tutto ciò a mezzo stampa. La ragione? Anche questa ovvia: un giornale, una radio, una tv sono un’impresa, hanno scopo di lucro (o altri fini meno nobili). Mica bazzecole. Mettendo dunque da parte le utopie sulla purezza degli editori, anche il più libero dei redattori risente dell’assetto produttivo. Sfondo porte aperte, lo so: ci sono pile di saggi sul giornalismo a sostenerlo a proposito su “ciò che fa notizia”. Oltre all’immancabile Sergio Lepri.
In un “fortunato” saggetto di fine corso accademico sull’articolo di giornale come prova della Maturità definii il temino un “articolo immaginato”. Allo studente è infatti chiesto di “immaginare” di scrivere un articolo per un lettore che, nei fatti, non lo leggerà ma il candidato deve tener presente. In realtà la prova altro non è che un testo destinato ad un professore, in possesso di una “sua idea” di giornalismo. E per costui si scrive. Ai limiti dello schizofrenico. Purtroppo anche il giornalismo “vero” sta sempre più diventando “immaginato”: basta sostituire al professore, l’editore (anche se solo di riferimento). Del realismo di più realisti del re ne abbiamo pieni i Tg e forse i quotidiani, di qualunque famiglia siano. Sono però settimane, se non mesi, che i giornali – quelli di carta – si arrotolano sotto forma di randelli di parole. E, sinceramente, un lettore distaccato ha serie difficoltà a scorgervi l'”informazione”.
Prima ragione. Karl Popper, che certo non è di sinistra, sosteneva non essere la democrazia tout court il governo del popolo o altre “amenità” simili, bensì quella che ha efficienti sistemi di controllo del potere. Se l’informazione diventa “incredibile”, attratta in una spirale inesauribile di mistificazioni, omissioni o inutilità (stupendo il servizio sui “servizi” del Tg1 del Trio Medusa), smette di fornire “materia prima” fondamentale a quel processo – democratico, sì – che Luigi Einaudi riassumeva in “conoscere per deliberare”. E questa è la prima ragione per cui, secondo me (notoriamente allergico alla piazza), è opportuno il 3 ottobre partecipare al sit-in a Roma della Fnsi per la libertà di stampa.
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