Non è un partito, non è un gruppo. Neanche, a ben vedere, un intergruppo come altri. Ma un intergruppo 2.0. A dar vita alla formazione politica bipartisan e orientata al web un manipolo di parlamentari del Pdl, del Pd, Radicali, Lega e Italia dei Valori. Hanno un blog , usano Twitter, YouTube e – ormai, diciamocelo, è un tormentone – l’immancabile Facebook. Il programma? Arrivare alle Camere 2.0. A parte l’utilizzo del due punto zero, ormai quasi degradato a quel che fu il “punto com” della stagione della bolla di internet, il programma è “nobile”: realizzare delle audizioni via web, far passare la democrazia per la rete. Ascoltare, dialogare, documentarsi attraverso i contributi e le forme che il digitale consente. «Il web – ha detto Federica Mogherini (parlamentare Pd, ma qui non rileva l’appartenenza) – è uno strumento tanto più potente, quanto diventa canale di collegamento tra il virtuale, la rete, ed il reale, il quotidiano, i quartieri».

E’ la nascita della web politics? Di sicuro tra le parole chiave dell’intergruppo c’è “disintermediazione”. Ciò aggiungerebbe poco all’uso “vecchio” dei nuovi strumenti di comunicazione come l’uso dei twit come piattaforma per il lancio di slogan (magari per contrastare quelli dell’opposizione). Ma i parlamentari 2.0 sembrano seriamente intenzionati a usare gli strumenti che la rete partecipativa offre per fondare delle scelte politiche. “Conoscere per deliberare. On line” è il loro motto. Il primo passo del nuovo corso politico può lasciar perplessi: vogliono dialogare con il “popolo del web”, o più precisamente i cittadini che animano il web, sul tema del web. I temi: libertà di espressione, privacy e identità in rete, diritto d’autore, eccetera.

Il rischio cortocircuito viene dialetticamente scongiurato sottolineando – nel manifesto “ideologico”  di Camere 2.0 – il ruolo sistemico rappresentato dalla rete per economia, cultura e politica. Capire il web, capirne la rilevanza per porre le regole adeguate è un nobile obiettivo e di importanza, verrebbe da dire, costituzionale. Il punto critico semmai è un altro. E’ il pericolo che questa grande conversazione politica che si cerca di attivare, se decollerà rischi di rimanere relegata alla materia web. E non per responsabilità dell’Intergruppo 2.0, quanto dal resto dei parlamentari che potrebbero vedere come ambito specialistico quanto sta accadendo. Antonio Palmieri (deputato PdL molto attento ad internet) ha infatti effettuato, qualche tempo fa per un convegno alla Camera, un microsondaggio osservando che il “bicchiere è mezzo pieno”: il 36% dei deputati ha un sito internet e il 21,1% una presenza personale su Facebook. E tutti gli altri? Parteciperanno alla grande conversazione in rete per le scelte su materie che con essa non hanno direttamente a che fare? E’ forse questa la vera sfida.