C’è qualcosa di nuovo al mondo. Ed emerge dall’Egitto, quasi fosse un moderno limo del Nilo. La protesta che sta infiammando in queste ore le strade de Il Cairo ha infatti qualcosa di innovativo. Non è certo l’uso – e il conseguente oscuramento come da prassi autoritaria – di Twitter o Facebook, né l’apparente legame tra la rivolta tunisina e chi si ribella a Mubarak. Hicham Kassem, giornalista egiziano, a tal proposito è netto: «L’Egitto – dice – non è la Tunisia, nè a livello geografico, nè demografico, nè politico». Nella terra degli antichi Faraoni, sembra quasi un paradosso, il movimento dal basso – spontaneo, non convocato, nè controllato – non riesce ad avere un leader.

Oggi è rientrato in patria il premio Nobel per la pace 2005, Muhammad al-Barade’i, pronto a mettersi a capo della rivolta d’Egitto. Ma non sembra – dicono gli osservatori – riscuoter consensi tra i protagonisti della ribellione: intellettuali, studenti, disoccupati e pure poveri. Che manchi un vertice, lo avrebbero fiutato anche i Fratelli Musulmani, pronti a dare una loro “impronta”. Forse neanche questa organizzazione riesce a raccogliere unanimi consensi. E’ che gli smart mobs, le mobilitazioni fluide e spontanee, quelle che nascono dal basso per fenomeni di aggregazione degni dell’intelligenza delle formiche sembrano aver un’intrinseca difficoltà nel trovare un leader. In fondo anche in Albania non si stagliano dei netti capipopolo, in Tunisia chi ha ripreso il potere non è gradito da chi ha cacciato Zine El-Abidine Ben Ali.

Nella moderna società liquefattasi, il leader – non necessariamente colui che era al potere – è stato finora l’esempio, l’exemplum. Totale, integrale, da emulare grazie all’esposizione sul palcoscenico del video anche del suo retropalco personale, da abbracciare per somiglianza e insieme ammirazione. “Potessi far io quel che ha fatto o fa lui”. Lo stesso presidente del consiglio italiano aveva fatto ricorso, nella sua ascesa al potere, proprio a questo brodo di coltura – sobbollito dalla tv commerciale e dalla sua evoluzione in un format latente votato al reality – con “Una storia italiana”, libro fotografico sulla sua famiglia e sui suoi successi.”Chi”, cantore settimanale dell’Italia del gossip, le trasmissioni pomeridiane tutte incentrate nel frugar nel ripostiglio dei soliti (o insoliti) noti, erano sulla stessa lunghezza d’onda.

Poi l’attivazione dell’interesse al retropalco ha reso appetibili quelle indiscrezioni che nella Prima Repubblica, a stampo cattolico (o moralista), restavano sotto silenzio o, al massimo, finivano in un confessionale. E in questi giorni a luci rosse la decadenza del leader, vera o presunta, passa per l’innominabile – ma oggi assai nominata, in quanto assurta a dignità pubblica – elencazione di altrettanto presunte, e tali fino a raggiunta prova giudiziaria, abitudini a carattere sessuale del premier. Ma anche in questo caso l’alternativa manca, nel senso che leggere di un 40 per cento di indecisi, che non sanno dove convogliare il consenso per un desiderato cambio di timoniere dice solo una cosa: a forza di smontare istituzioni, strutture organizzative e concentrarci sul nostro privatissimo interesse, anche i leader-esempio non esistono più. Verrebbe da dire “per fortuna”. Ma quale è l’alternativa?