Foto di jungmoonConfesso di essermi preoccupato, quella volta, nel vedere mio figlio più piccolo prendere a calci un pallone. A fronte alla respinta di collo del suo compagno di giochi, improvvisato portiere su un altrettanto improbabile rigore, se ne era uscito gridando un assurdo “fuorigioco!”. Lo sguardo dell’avversario mi aveva fatto temere il peggio. Lo considerava probabilmente, ad esser benevoli, un po’ fuori dal mondo. Ma il mio cucciolo era del tutto innocente: in vita sua non aveva mai visto una partita di calcio. Colpa mia, lo ammetto. Ma cosa posso farci se non riesco a star davanti ad uno schermo reso verde dal rettangolo di gioco per più di dieci minuti? E quindi, in  casa, benché per non sembrar un marziano abbia spiegato alla prole di “tifare” Milan, il gioco del pallone era pressoché ignoto. Una lacuna da far chiamare il Telefono Azzurro e mandare nella disperazione gli uffici marketing di Sky.

I guai, ovviamente, non sono mancati. Non tanto per il dover io fingere, con sforzi titanici nel non tradire la mia crassa ignoranza, di partecipare a qualche conversazione del lunedì mattina sulle sorti delle squadre cittadine. Quanto perché stavo offrendo un’educazione incompleta alla mia progenie. Crescere senza calcio in un Paese dove tutti sono ct della Nazionale, e proprio alle porte di un mondiale, deve essere spiazzante. Oltre che da genitori incoscienti. Portarli allo stadio per non rischiare la patria potestà? Accompagnarli con fare complice – e un’ipocrisia impossibile da celare – al campetto di allenamenti della squadra di serie A a due passi da casa? E , poi, neanche  sbadigliare un po’?

Niente di tutto ciò. La salvezza, inaspettatamente, me l’ha servita su un piatto d’argento Fifa 2010. Sì, un videogioco. I ragazzi, senza che il padre latitante se ne curasse, hanno infatti iniziato a picchiettare sui tastini della Nintendo per ore. Giocano a pallone. Fanno altri sport nella vita di tutti i giorni, per muover i loro muscoli. Il calcio, invece, lo praticano esattamente come la stragrande maggioranza degli italiani: da seduti. Ed adesso è finita che i piccoli sanno pure cosa sia mai un “passaggio filtrante”, concetto del quale continuo ad essere all’oscuro. O chi è un tal Lionel Andrés Messi e magari cosa fa  tal Ibrahimović, che – a dispetto del nome balcanico – ho scoperto giocare con la nazionale svedese.

Certo, gli esordi anche alla console non sono stati da campioni. Nessuno nasce “imparato”. E così quando ho sorpreso il mio maggiore – “acceso” tifoso della Lazio – a giocare sullo schermo nei panni della Roma sono rimasto disorientato. Esultava ad ogni gol subito. Singolare, quanto meno. Una forma di masochismo? Conoscevo quasi tutte le leggende metropolitane attorno ai videogame, ma che sviluppassero l’autolesionismo non l’avevo mai letto da nessuna parte. «Tranquillo papà – mi rassicurò con un sorriso furbastro – sono ancora una schiappa a questo gioco. E così mi diverto da matti a veder la Roma che perde con la Lazio». Strepitoso. Ora gioca benissimo, anche se infarcisce la squadra biancoceleste di assi di prima grandezza (c’è pure il ‘calcio mercato’, potenza dei “videogiochi educativi”!) – come Diego Milito, l’eroe della finale madrilena della Champions vinta dall’Inter che ha scoperto… vedendo la partita contro il Bayern Monaco  (il processo educativo procede dunque spedito). Da milanista non praticante, confesso, non riuscivo a capire perché i cugini dell’Internazionale si agitassero tanto. Ma poi, quando mi hanno detto da quanti anni (45) non vedevano quella coppa, mi è parso più normale. Come il venir a sapere che finalmente mio figlio più piccolo è un asso del calcio di rigore. Alla DS Lite, ovviamente.