Foto di Barack ObamaBruno Ruffilli su La Stampa (L’ultima arma di Obama? E’ un iPhone) racconta come il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti sfrutti il cellulare di Apple – e un suo software gratuito – per la propria campagna elettorale. Ed implicitamente emerge cosa (forse) separa la comunicazione politica statunitense da quella italica.

“Per cominciare – scrive il bravo collega – (il programma) riorganizza la lista dei propri contatti a seconda degli Stati in cui Obama è più o meno popolare, così da poter telefonare ad amici e parenti per convincerli a votare; c’è anche una lista delle persone già contattate e si può inserire un appunto per richiamarle il 4 novembre, giorno in cui verrà eletto il nuovo presidente degli Stati Uniti”. E ancora: “Poi c’è la sezione «Get Involved», «partecipa»: un click e compare la lista di tutti i comitati elettorali più vicini, con il numero di telefono da chiamare per arruolarsi nei sostenitori a tempo pieno. Su base locale (ma volendo anche nazionale) funziona pure la diffusione delle notizie: grazie alla tecnologia Gps, il cellulare riconosce la posizione e fornisce appuntamenti, incontri, manifestazioni dei Democratici nei dintorni, o nello Stato che si è scelto di seguire”.

Negli Usa non esistono partiti quali abbiamo conosciuto fino ad una quindicina di anni fa in Italia, né – nonostante la parentesi maggioritaria – come quelli odierni. C’è una differenza di ‘collante’ (o connessioni) tra i vari “militanti”, simpatizzanti o – semplicemente – elettori: il “legante” qui da noi, per una larga fetta e fuori dal voto amministrativo nei piccoli centri, era e resta ancor oggi la televisione, che costituisce il patrimonio condiviso sul quale ci si ritrova talora a commentare (in famiglia, sul luogo di lavoro o magari sul bus) e costruire un movimento che ha ricadute nell’urna. Stessa cosa, plausibilmente, credo avvenga negli Stati Uniti, dove a queste basi “analogiche” ed ai comizi come evento mediatico, si aggiunge una fetta di connessioni veicolate dal web. La differenza appare nella consapevolezza da parte del ceto politico dell’intrinseca frammentazione in “nicchie” che la Rete consente, del porta a porta virtuale che rende agevole, delle mobilitazioni smart ed insieme della possibilità di una sorta di campagna elettorale a “realtà aumentata” (come nel caso dell’iPhone dei Democratici Usa).

Mentre Obama non trascura le risorse del web (ognuna, evidentemente, come un ambito di conversazione e mobilitazione a se stante), nella Penisola sembra spesso che i politici e la politica si gettino sull’onda del mezzo al momento più à la page: prima Second Life, poi YouTube, ora Facebook. La logica sottostante? L’idea che si tratti di palcoscenici dove comunicare “da uno a molti”. Proprio come nella vecchia tv. Peccato che il web sia “da molti a molti” e si presenti sotto le vesti di una conversazione individuale/globale moltiplicata in migliaia di intrecci. D’altro canto pensiamo ad uno strumento come il blog, liquidato ora come un’ipertrofia digitale dell’io, ora usato – dalla politica – come il palchetto dei comizi anni ‘50 per esternare oggi, nell’era postmoderna, l’esempio del leader senza interlocuzione, seppur senza arrivare agli eccessi del Nerone petroliniano. I diari online dei politici – come già è stato notato – sono attivi ed aggiornati durante le campagne elettorali, in un”dialogo” però sostanzialmente unidirezionale (visto che sono affidati di frequente ai portavoce), per essere spesso abbandonati quando invece “servirebbero di più”: quando cioè i candidati assumono responsabilità di governo.