Cinquant’anni fa, il 22 aprile 1964, si apriva sotto la pioggia a New York quella che sarà ricordata come una delle più grandiose – e dispendiose (erano attesi 70 milioni di visitatori e ne arrivarono “solo” 51) – tra le fiere mondiali mai tenutesi negli Stati Uniti. La manifestazione, ideata dal costruttore Robert Moses, non fu inserita nel calendario ufficiale del Bureau International des Expositions e venne disertata da parecchi paesi europei, Italia inclusa. Ma non dalla Città del Vaticano, che spostò da San Pietro “La Pietà” per farla approdare, tra mille preoccupazioni italiche sulla sicurezza dell’imballaggio nell’innovativo polistirolo, a Flushing Meadows, in un luna park disneyano tra uomini jet, monorotaie, videotelefoni, cucine ad alta tecnologia e alberghi sottomarini. Era la “New York World’s Fair“, evento che segnò tra il 1964 e il 1965 agli occhi di 51 milioni di visitatori l’unione in un sol luogo – in oltre 260 ettari a Queens, fra Brooklyn e Long Island – di high tech dell’era spaziale, science fiction, entertainment e campagne promozionali delle grandi aziende.
L’innovazione inesprimibile
Dedicata formalmente alla “pace attraverso la comprensione” e al futuro tecnologico dell’umanità, “The New York World’s Fair 1964-65” fu una kermesse talmente eccessiva da far impallidire, agli occhi degli stessi americani, quella già spericolatamente – e pure aerodinamicamente, visto l’enorme peso dato al design – sul domani tecnologico del 1939.
«Ma allora – scrisse nel 1964 Alberto Ronchey su La Stampa – era possibile racchiudere ancora in una fiera le cose del mondo, con impegno analitico. Non esistevano missili, radars, reattori atomici, computers, vaccini antipolio, né i nuovi mondi dei polimeri e dell’ingegneria molecolare o cibernetica. In venticinque anni la realtà è divenuta inesprimibile, e allora ci si rifugia in qualche campione colossale o nella iperbole dei giochi». La fiera di Moses segnò una tale overdose di innovazioni che è quasi impossibile ancor oggi renderne conto in breve. La prima dimostrazione pubblica di una fusione nucleare alla General Electric, l’ascolto del “frusciare delle stelle” con un radiotelescopio della Ford o l’anticipazione di quanto si immaginava avremmo fatto nello spazio o con il telefono convivevano con un Lincoln parlante in plastica, la riproduzione di dinosauri a grandezza naturale, giochi vari e un miniparco divertimenti realizzato da Walt Disney.
It’s a small world
Un po’ dappertutto echeggiava quest’atmosfera da luna park tanto che Oriana Fallaci, in visita alla fiera, individuò una sorta di tunnel dell’amore nel percorso con poltroncine su un tapis roulant della seconda edizione di “Futurama” (sponsorizzata, come nel 1939, da General Motors). «Il percorso incominciava in un cosmo luccicante di stelle – raccontava la scrittrice in “Se il sole muore” – mentre una voce fuori campo gorgogliava commossa: “Benvenuti al viaggio nel futuro, un viaggio per tutti nell’ovunque di domani. Esploriamo insieme il futuro, un futuro di libertà e non di sogni: poiché ciò che vedremo è niente in confronto al domani del domani. Ecco, è già domani”».
Al padiglione Unicef, sponsorizzato da Pepsi, risuonava “It’s a small world”, motivetto cantilenante composto dai fratelli Robert e Richard Sherman, premi Oscar per la colonna sonora di quel “Mary Poppins” (1964) cui è dedicato il recentissimo “Saving Mr. Banks” con Tom Hanks nel quale compaiono, in una sequenza, proprio le locandine della New York World’s Fair. La canzoncina accompagnava i visitatori in un giro del mondo in miniatura che simboleggiava una Terra di pace e fratellanza. Lo stesso meraviglioso pianeta, quasi come la Disneyland in cui fu traslocata l’attrazione nel 1966, che si immaginava sarebbe stato generato da reti di comunicazione sempre più interconnesse in un futuro dominato dalla tecnologia.
La predizione del mondo connesso
Niente Italia alla fiera dell’Ovest
La politica e i diritti civili fanno irruzione
Ma il “mondo incantato” che Moses e una certa visione disneyana avevano preparato a New York non dovette solo far i conti con questo genere di questioni politiche. Le prime notizie che echeggiarono per il mondo dal parco di Flushing Meadows furono quelle di tumulti registratisi durante la cerimonia di inaugurazione della “New York World’s Fair” con il presidente Johnson (video nel quale però non si fa cenno dei tumulti). I movimenti per i diritti civili avevano infatti inscenato delle manifestazioni – erano i giorni in cui al Senato si discuteva il “Civil Rights Act” – che provocarono blocchi della circolazione di metro e auto, arresti e scontri. Erano, in fondo i segnali di una complessità che iniziava ad emergere accanto al sogno di un mondo che la tecnologia – che aveva subito un’accelerazione proprio per Guerra Fredda e corsa allo Spazio – si auspicava potesse trasformare portare verso un avvenire di pace.
Papa Paolo VI in visita all’esposizione
Il 4 ottobre 1965 Paolo VI, primo papa a metter piede sul suolo americano e ad aver parlato lo stesso giorno alle Nazioni Unite, fece visita al padiglione nel quale erano esposta la Pietà e riprodotti gli scavi della tomba di san Pietro. Nel suo discorso alla fiera di New York il Pontefice ricordò le convinzioni religiose che spinsero Michelangelo a qulle vette artistiche, aggiungendo: «We feel that these same religious convictions can move men in a similar way to seek peace and harmony among the peoples of this world».
Quel che restò del futuro
Pace ed armonia che non potevano arrivare subito, in un’America nella quale ancora c’erano, ad esempio, discriminazioni razziali e stava iniziando quella trasformazione cui il giornalista statunitense Joseph Tirella ha dedicato il suo “Tomorrow-Land: The 1964-65 World’s Fair and the Transformation of America” (Lyons Press) [qui su Amazon.it]. In compenso in occasione della fiera furono lanciate alcune tecnologie o prodotti che hanno fatto storia. Dall’idea del telefono come mezzo per videochiamare (e molto di più), a quella della tv a colori, alla Mustang – grandissimo successo della Ford – alle animazioni robotiche di Disney (animatronic), fino alla presentazione al grande pubblico dei modelli del World Trade Center, già svelate a inizio 1965: le torri gemelle di Minoru Yamasaki. Emblema poi di come – nonostante la tecnologia abbia fatto passi da gigante – purtroppo la pace attraverso la comprensione non abbia seguito lo stesso percorso.
Qualche link
- La fiera di New York sul National Geographic 1965 (via Modern Mechanix)
- Cosa resta della fiera mondiale di New York del 1964/1965?
- What Is To Be Done With The New York State Pavilion?
Video
- Video della visita di Papa Paolo VI a New York (via Youtube)
- “It’s a small world” turns 50: the creation of a classic (via Youtube)
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(ultimo aggiornamento 22 aprile 2014, ore 00:53)
Mentre sto ancora finendo la traduzione delle previsioni di Isaac Asimov fatte al tempo sul mondo nel 2014, un uomo capace di cogliere i segni del presente per capire il domani…..
Erano in parecchi all'epoca, te lo posso garantire. Tanto da averci dedicato un libro ;-)
Ottobre 1965 – 50 anni fa, un team di ingegneri italiani della Olivetti, capitanato da Pier Giorgio Perotto, riuscì a fare quello che nessuno aveva fatto prima di loro, e cioè disegnare e progettare un computer abbastanza piccolo da stare su una scrivania, ma soprattutto in grado di essere utilizzato da persone normali e non colo tecnici e ingegneri.
I principali quotidiani statunitensi New York Times, Wall Street Journal, Business Week, New York Herald Tribune titolarono a piena pagina: “The first desk top computer of the world”.
la “Programma 101” (P 101), il primo Personal Computer della storia.
Fino ad allora i computer erano macchine estremamente ingombranti, grandi come frigoriferi, custodite in grandissime sale dei bottoni, dove avevano accesso solo poche persone autorizzate, in camice bianco, in grado di farli funzionare. Alla fiera di New York, raccontano i progettisti Gastone Garziera e Giovanni De Sandre, 2 dei mitici componenti della squadra di Pier Giorgio Perotto, protagonisti del documentario, “molti guardavano la 101 e chiedevano dove fosse il cavo che la collegava al computer centrale”.
Salvatore, al Business Equipment Manufacturers Association (BEMA Show) di New York proprio quando stava per chiudersi la Fiera mondiale – in un’altra zona della città – fu presentata alla stampa P One-O-One, ovvero la perottina. Le parole di Sergio Curadi che riporti corrispondono al vero e anche all’emblematico passaggio di consegne verso il futuro che picturephone e P101 si trovarono inconsapevolmente a compiere. L’aspetto interessante è che entrambe le tecnologie rappresentarono un’intuizione sugli usi possibili di esse più che per il futuro delle soluzioni tecniche di cui erano portatrici (per il vero geniali in entrambi i casi, specie quelle di Olivetti). Ne parlo nel mio libro e ne tornerò a parlare ulteriormente. Grazie per il commento.