Il sistema educativo finlandese? E’ merce d’esportazione. L’idea di vendere l’esperienza maturata è di Henna Virkkunen, omologo finnico dell’italiana Maria Stella Gelmini. Il know how in materia di scuola entra dunque nella bilancia commerciale, dimostrando di essere un “bene” da sfruttare. Le performance nei test PISA-OCSE, tradizionale (e a volte crudelmente ingiusta) croce e delizia dei docenti italiani, ha spinto la Virkkunen a supporre che si affolleranno le richieste sui servizi scolastici finlandesi.
E così, con buon senso pragmatico, la ministro ha annunciato di aver organizzato una taskforce con la responsabilità di preparare la strategia di export. Che faccia sul serio, lo dimostra anche il fatto di voler presentare questo piano al Governo per la fine del 2009.
Un po’ gruppo di acquisto solidale. Un po’ Ikea. Un po’ web partecipativo. E soprattutto molto azienda globale, al pari di tante grandi farm delocalizzate ai quattro angoli del pianeta. Specie quelli dove il costo del lavoro è ridicolo. Myfab, il “primo” sito di produzione on demand, vorrebbe essere tutto questo. Che sia “il primo” può dircelo solo la grandeur francese. Di certo è un modo per saltare gli intermediari: i prodotti che vuoi, li scegli, li voti e l’azienda transalpina te li manda in produzione. In Cina, ovviamente. Con risparmi clamorosi (fino al 70%). Ma anche tempi biblici per la consegna (9 settimane in media per tornare dall’estremo oriente. Vantaggi tutti questi, comunque, rispetto ai prodotti di marca.
Design democratico, si dice. Anche perché un prodotto – si spazia dagli arredi all’abbigliamento, dalle stampe alle attrezzature per lo sport – prima di andare in produzione viene messo al voto dei clienti. Se quel che hai scelto viene eletto – e mandato in produzione – ti spetta uno sconto del 10% all’acquisto. Ed è probabile che accada, insomma una specie di primarie dello stile. Poi magari ci esce l’imitazione del marchio celebre (le fabbriche, infatti, potrebbero essere proprio le stesse). Ma poco importa.
[aggiornamento: il video ufficiale del 1° settembre 2009]
VirtualLife, la Second Life europea, si è affacciata sul web. E’ stato infatti varato oggi il nuovo sito ufficiale del progetto triennale finanziato, a fine novembre 2007, dalla Comunità Europea nell’ambito del Settimo Programma Quadro con due milioni e mezzo di euro. La particolarità di questo ennesimo mondo virtuale (video) è che girerà su una rete si potrebbe dire peer to peer, in un ambiente collaborativo “sicuro” ideato per l’intrattenimeno ed il business. E soprattutto chiunque si potrà allacciare alla rete, non ci sarà infatti un gestore centrale come la Linden Lab, padre padrone di Second Life. Ci sono le basi per farlo divenire l’embrione dell’internet a 3D, cui chiunque può connettersi, proprio come nel web. E realizzare un particolare esperimento giuridico: una costituzione virtuale finalizzata alla creazione e amministrazione di nazioni virtuali, un sistema giuridico dove – in un ambiente con transazioni sicure – contano reputazione e diritti (senza sottostare agli umori della coding authority). Una sorta di jus gentium del metaverso, tanto da far figurare tra i partner un ateneo celebre proprio per il diritto: l’università di Gottinga.
E’ una “notizia” di seconda mano. All’aeroporto di Teheran opererebbe la Polizia di Facebook. Evgeny Morozov racconta di un suo collega che avrebbe riferito questo aneddoto. Nel passare al controllo di frontiera, un’iraniana americana sarebbe stata interrogata dagli agenti sul suo possesso di un account del social network. Alla risposta negativa, i poliziotti avrebbero acceso un laptop e si sarebbero messi a cercarne il nome su FB. Trovato il profilo, i solerti agenti avrebbero annotato i suoi “amici” su Facebook. Il racconto – nei commenti, sollecitati dall’autore nel fornire conferme – però appare più un “sentito dire”, quasi una leggenda metropolitana. Anzi, della Rete. Eppure ciò non toglie che sia verisimile, quindi credibile: i colloqui di lavoro, il lavoro dei giornalisti e – perfino – le occhiute spiate dei “traditi” (o degli stalker) sembrano destinati a passare – secondo la vulgata imperante – proprio per Facebook.
Non taccio, ma aderisco. Argomentando. Mi sembra il modo migliore per “alzar la voce”, affinché il dibattito (o la conversazione, se si preferisce) – dal basso – aiuti chi fa le leggi a superare il limite di una legislazione troppo spesso prigioniera dei sentimenti, delle emozioni o delle reazioni. Mi piacerebbe fosse così anche per coloro che – esponendo questo stesso logo nelle pagine dei loro siti informatici (sic il ddl intercettazioni) – abbandonino i toni populistici, destruens e anti-“sistema” per partito preso.