Faceva satira. Ma il giornalista oggetto della battuta ha scoperto l’epiteto, grazie a Google. Offeso, ha querelato il blogger. E pure il motore di ricerca: avrebbe consentito di leggere in maniera rapida ed automatica l’articolo oggetto della denuncia. Il Tribunale di Ferrara, il 9 giugno, ha però assolto l’autore «per avere commesso il fatto, obbiettivamente diffamatorio, nell’esercizio del fondamentale e in concreto prevalente diritto di esercizio della libertà di critica e di satira politica».
Il magistrato ha anzi sottolineato il ricorso all’information literacy – pur senza chiamarla così – del blogger: ha scavato, verificato, si è documentato. Quindi, dopo lo studio, ha reso pubblico con un click il suo post. Certo è che, se il contributo non fosse stato linkato da altri e indicizzato dagli spider dei motori di ricerca, la presunta offesa non sarebbe stata vista da nessuno (e, quindi, trattandosi di reato di “evento” niente diffamazione). O dai soli aficionados di quel blog. Ma, per quella vicenda, sono stati letteralmente chiamati in causa anche 841 siti, tanti quanti ne ha contati il giornalista. Effetto del copia & incolla, tipico della rete.
Il meccanismo è noto: pur volendo “rimediare” bisogna inseguire siti, profili di Facebook, magari pure il peer to peer. Un fenomeno di propagazione che ha indotto addirittura uno studio legale a chiedere a ByoBlu di rettificare un post, ritenuto “offensivo” da un suo cliente, sulle pagine web che lo avevano ripreso. Paradossale, oltre che praticamente impossibile.