Foto di ecstaticistAlzi la mano chi non hai mai sentito accostare internet alla parola democrazia. «La rete non ha un padrone». «E’ paritaria». E via via in un crescendo d’utopia, fino all’immancabile peana finale sul web democratico. Piccoli segni, però, dicono qualcosa in senso contrario. Nessun Grande Fratello, per carità. Anche se alla fine la “salvezza” dalla degenarazione populista potrebbe venire proprio dalla logica di Google e dei suoi fratelli. Non senza sfiorare, almeno un po’, una qualche occhiuta distopia.

La Rete, come modello costituzionale, non infatti è esente dalle degenerazioni tipiche della democrazia quando ospita le “sovrastrutture” che la utilizzano. Basti il plebiscitarismo che regna nella bibbia del wiki, come dimostra il recente caso della cancellazione  di Mario Gerosa. In Wikipedia e simili, ma forse anche nelle logiche di emersione delle notizie lanciate dal modello offerto da Digg!, si manifesta – in quella che abbiamo sentito chiamare “intelligenza collettiva” – una virtuale dittatura della maggioranza o, peggio, di qualche geek-oligarchia . E c’è dell’altro. Un esempio? Il controllo – talora la censura, se non il dominio dittatoriale spinto fino all’esproprio di immagini o creazioni – che esercitano le coding authorities nei social network (le arbitrarie disattivazioni dei profili di Facebook ne sono un luminoso esempio), nei virtual worlds (vedi il dominio di Linden Lab in Second Life) o nella stessa YouTube (casi di rimozione di video “non graditi” a qualche potente).

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