D-5 is a Found Object ~ Assemblage Robot Sculpture by Dan Jones of Tinkerbots. San Diego, CACompri il giornale e leggi di uomini che “creano” la vita. O ci vanno molto vicino. E non è un romanzo di Aldous Huxley. Sesso e riproduzione, per te, ormai  è scontato non siano la stessa cosa. Eppure le maggiori testate ci aprono l’edizione mattutina. Accendi la radio e ascolti di un robot umanoide pronto a colonizzare lo spazio. Corpo, braccia, e un marchio General Motors in bella vista per missioni “inadatte agli umani” da affrontare. Eppure il presente non è più quello di una volta. Nel senso che non lo viviamo per come ce lo aspettavamo di viverlo. Quanto meno noi, nati prima del 1969, l’anno della diretta dell’uomo sulla Luna.

E ciò ci accade non solo perché Robonaut2 non porta sul petto lo stemma della U.S. Robots, l’azienda immaginata da Isaac Asimov, bensì quello di una vettura che magari stai guidando. D’altronde sono anni che Honda ti propina il suo Asimo. Ma resti perplesso, se ci badi un po’, perché magari avviene tutto così “naturalmente”, quasi passandoci sopra. Non solo confortando qualche visione della fantascienza, ma anche smentendo narrazioni di fiction televisive consolidate come Spazio 1999: quell’anno è infatti trascorso senza che il satellite della Terra sia uscito dalla sua orbita come preconizzato dalla serie tv. Insomma, siamo ormai quasi dei tecnoindifferenti.

D’altro canto mi tornano in mente le discussioni – forse bizzarre per l’età, eravamo undicenni, ma l’Austerity (1974) era di quegli anni – tra me e un mio geniale compagno di banco. Arrivai a scuola sostenendo di aver scoperto il modo per “far andare” un’auto senza benzina. Smontavo biciclette, a quei tempi. Metter dinamo sulle ruote per recuperare energia da mandare ad un propulsore elettrico mi sembrava la grande soluzione che nessuno aveva trovato. Il mio “Eureka!” alla Archimede (disneyano) fu smentito dal mio amico con l’enunciazione non so di quale legge fisica, che lui già conosceva (ovviamente). L’attrito avrebbe dissipato quel che pensavo di recuperare.

Vedere però oggi una Toyota Prius che cammina sfruttando l’energia cinetica in frenata affascina sì, ma a me lascia quasi indifferente. «Normale» mi verrebbe da dire. Sono un blasé dell’innovazione, lo ammetto. Mi diverte, a proposito delle mie “intuizioni” preadoscelenziali (e delle invenzioni a pedali), la notizia odierna di Nokia che ha preparato un kit a 15 euro, da commercializzare entro l’anno, per ricaricare pedalando in biciletta il cellulare attaccato al manubrio. Ma d’altronde, se frugando tra le notizie in rete mi interessavo di inchiostro elettronico già nel 1990, oggi un Kindle o un iPad non mi fa granché caldo o freddo.

Quando gli “schiavi” fanno notizia

Ora i robot, a ben vedere, non fanno notizia. Ci siamo abituati a saperli costruire auto, sorvolare un territorio o bombardarlo. Un po’ meno a tagliare il prato (sebbene è uno dei miei sogni avere uno di quegli aggeggi scansafatica, la mia naturalmente). Ci aspettiamo magari che costruiscano nelle profondità del Golfo del Messico una cupola che fermi la marea nera, dopo averle fatte monitorare dal ‘fratello’ Auv, il “mezzo autonomo sottomarino” dell’Istituto di ricerche dell’Acquario di Monterey.

Colpisce un po’ di più sapere che il Robonaut2, R2 per chi ama le sigle alla Star Wars, sarà sullo Shuttle Discovery Sts-133, in partenza a settembre. Destinazione la base orbitante, per lavorare nel laboratorio americano Destiny, e non è escluso possa un domani muoversi liberamente nella stazione orbitale o fare passeggiate spaziali. E’ una “notizia”? Sojourner, atterrato su Marte il 4 luglio 1997, ci rimase per tre mesi. Era stato preceduto dal Viking nel 1976. Nulla di nuovo nell’universo. I robot ci sono “sempre” andati.

Ma c’è un quid che fa la differenza: l’antropomorfismo. R2 ha una testa, con un “occhio” nascosto dietro una visiera rettangolare e azzurrina, ha due braccia, ha due mani capaci di manipolare oggetti e un busto da fissare a supporti di tipo diverso a seconda dell’uso. I robottini marziani avevano le ruote.  Ecco cosa ci turba e insieme attrae.  Pensare che un domani sulla Luna possa vivere una colonia di macchine dalle “fattezze umane” realizza una sorta di mito creazionista “a nostra immagine”. In fondo qualcosa di simile, sebbene molto più embrionale, al dna artificiale di Craig Venter, colui che dopo aver decodificato la scaletta della vita ha annunciato di aver creato un batterio in laboratorio. Qualcosa che ci affascina e atterrisce insieme, quasi un ammonimento biblico: la possibilità che gli esseri “creati” si ribellino al loro creatore.

Un plot che implica le tre leggi sulla robotica di Io, Robot, il Blade Runner di Ridley Scott o – ma solo per l’ambientazione, non avendo l’intelligenza artificiale forme umanoidi – l’incubo di un HAL 9000, il computer ribelle  che governa la nave spaziale di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick. C’è anche quel sottile fascino golemico insito nella narrativa per la quale venne creato il neologismo robot, dal ceco robota (“schiavitù”). Un termine apparso per la prima volta nel dramma del 1920 di Karel Capek, “I robot universali di Rossum”. La storia di R.U.R., l’acronimo che costituiva il titolo all’opera teatrale, era più o meno questa: androidi creati attraverso l’ingegneria genetica per sollevare l’uomo dalla fatica grazie alla loro funzione liberatoria sta condannando l’umanità all’estinzione. La salvezza arriverà dalla cancellazione dei codici che ne consentono la fabbricazione.

Ma proprio mentre la Nasa annuncia l’avvio del progetto dei robot umanoidi nello spazio, ecco che alla periferia di Mosca – oggi stesso –  nella sede dell’Istituto Russo per i Problemi Biomedici (Ibmp) sei astronauti hanno iniziato a rimanere isolati per 520 giorni all’interno di un simulatore di volo. Uno spazio virtuale  che “riproduce” qualla che potrebbe essere la navicella in viaggio verso Marte. Non è la finzione delle missioni spaziali delle quali immaginava Capricorn One,  pellicola in cui la “missione” spaziale altro non era che un set  (quasi a convalidare le tesi “complottiste” di chi sulla Luna non ha mai creduto che uomo abbia messo piede). In Russia stanno infatti sperimentando – documentandole in un blog bilingue – le capacità psicofisiche di resistenza ed adattamento di un equipaggio in viaggio verso il pianeta rosso. La Nasa aveva in cantiere un mondo virtuale per analoghi scopi. Un lancio che – secondo gli esperti – non potrà avvenire prima di trent’anni. Arriveranno prima gli androidi o gli umani? Quando accadrà, in ogni caso –  scommetto – non ce ne sorprenderemo.