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Stéphanie Gonier, 35 anni, è l’ennesima blogger a pagare per il suo diario. E fin qui nessuna novità. Licenziata dalla Nissan dopo la maternità, ha aperto un blog per raccontare le sue peripezie al rientro in azienda dal congedo parentale. Ora deve risarcire con 1.100 euro ciascuno sei quadri dell’industria nippofrancese per oltraggio, diffamazione e perfino contraffazione. Ma lei resta orgogliosa di aver affrontato a testa alta la sua sventura e – sempre grazie al weblog – aver ottenuto il sostegno di tante persone.

E’ uscito in Italia un volume di Daniel Goleman, Intelligenza sociale, che sottolinea come i mezzi di comunicazione elettronici si rivelino in realtà dei fattori di isolamento. A causa di essi disimpariamo a comunicare, a mantenere delle relazioni stabili. In fondo il blog è uno sfogatoio, un simulacro di spazio dove sviluppare rapporti umani, un luogo grazie al quale non implodere, ma in realtà una situazione di sostanziale isolamento fisico. Gonier come altri ha avuto l’illusione di un sostegno, ma ora dovrà pagare di persona.Il blog ti può prendere la mano, indurti a fargli delle confidenze che però – lì per lì non ci pensi – chiunque può vedere dal suo speco.

La stessa internet, sotto il profilo tecnologico, non è qualcosa di concreto, palpabile, neanche sempre interconnesso. L’always on è un mito dei nostri tempi. Questa pagina non si trova – nel momento che la leggi – sul computer in cui è stata originariamente archiviata, bensì nel tuo pc, in una zona dedicata ai files temporanei. E’ solo un’illusione quella che abbiamo di esser connessi con qualche server in America o in Giappone. Noi leggiamo quel che abbiamo sulla nostra scrivania. Gli stessi cavi che portano le manciate di bit da un punto all’altro sono qualcosa di temporaneo. Se le linee sono interrotte o intasate i pacchetti prendono strade diverse e non necessariamente ripetibili. Insomma, anche “fisicamente” il consumo delle informazioni, il loro scambio, è isolato.