Foto di  PE Weck / Pierre-Emmanuel WeckMio figlio è nato accanto ad una rom. Nella stessa stanza di un ospedale romano – ritenuto il migliore per mettere al mondo un cucciolo di uomo – mia moglie al primo figlio, quella zingara al “non so che numero”. L’idea che un domani a quella bambina possano essere prese le impronte digitali per legge ed al mio bambino nulla mi sconvolge. Dove sta la differenza tra loro? Nel colore della pelle dei genitori, nel fatto che la madre di quella bimba si fumò subito una sigaretta non appena partorito e la sua no, oppure nonostante le apparenze «non si tratta di una schedatura etnica – come ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni – bensì di un’ulteriore garanzia per la tutela dei loro diritti e per garantire a chi ha il diritto di stare in Italia migliori condizioni di vita»? Ne ricavo che mio figlio avrà meno diritti di quella ragazzina che ora – magari con gonna variopinta – avrò incrociato in giro per la città . Infatti non verrà schedato, nessuno gli prenderà le impronte digitali sotto l’occhio vigile della Croce Rossa. Mi dovrebbe rassicurare anche il fatto che un ex responsabile della (d)Istruzione italiana, tal Letizia Moratti, abbia chiarito che «mi sembra che tutto quanto detto dal ministro possa anche andare in direzione della tutela dei bambini. Molti di loro, purtroppo, sono sfruttati e quindi questa identificazione serve anche a dare un’opportunità alle forze dell’ordine e a chi se ne deve occupare a livello sociale di sapere chi sono i bambini sulle strade».