“Batti batti batti”. Chi, per almeno una volta, ha abbandonato i propri figli davanti ai Baby Einstein sa di cosa parlo. Se poi, entrando nella casa di Wolfgang Amadeus Mozart a Salisburgo, i ragazzini ti vanno in visibilio come un fan di Elvis Presley a Graceland, sospetti un po’ il cartone di casa Disney,  sorbito fin da poco più che poppanti. Ora magari gli stessi ragazzini studiano musica, e le note iniziali del Peer Gynt – altra passione indotta da quella “pseudointerattività” allo schermo – se le sono “trovate” da soli, strimpellando. “Troppo bello”, dicono. Non sono geni, sono  normali.

La loro attività manuale di battere il tempo – il “batti batti batti” cui li invita il cartoon – avviene davanti ad immagini su uno schermo. Qualcosa di astratto, non palpabile, per niente tridimensionale. Come accade con  il monitor di un computer. Anzi di meno. E’  infatti molto meno interattivo quel pupazzetto che ti invita, dal televisore, a seguire l’andamento di un’opera lirica rispetto all’interazione data dall’usare un puntatore ed un cursore attraverso un concretissimo, fisico, tridimensionale mouse. Quella freccetta è un simbolo – come lo era il soldatino che noi impersonavamo da bimbi tra i ciottoli del cortile o l’escavatore sul pavimento del salone  – è un segno che ti rappresenta su uno schermo. Solo che ora lo animi giocando a “clicca, scrolla e trascina”. O palpando un touch screen. Altro che “batti batti batti”.

Tutto ciò, accade spesso ben prima di spegnere le 9 candeline. Posso testimoniare, anche sotto giuramento. A sentire però Aric Sigman, membro della Royal Society of Medicine e membro associato della British Psychological Society, nulla è più nefasto di mettere un under 9 davanti a un computer. Non diventa scemo, però poco ci manca. L’uso del pc in tenera età comprometterebbe, secondo il ricercatore, niente di meno che le capacità di lettura e di far di conto.

Sarà. Sarà che la facile equivalenza schermo uguale televisione (davanti alla quale mai abbandonare i figli) inganna anche i più avveduti studiosi. Ma ho “visto” bimbi al computer – ad una macchina dove magari saltabeccano indefferenti da Linux a Windows fino ad un’emulazione di Mac – sin da tenera età. Prima “accompagnati” e quindi da soli. Un po’ come quando li aiuti ad andare in bici. Poi pedalano felici, “lontano” da te. Eppure, nonostante il “nefasto influsso” dello schermo e le fosche previsioni degli psicotecnofobi, magari vivono in una casa che trabocca di libri per ragazzi e non ti è capitato ancora di ascoltare una lamentela dagli insegnanti di matematica. Anzi, l’opposto. Al massimo borbottano per il disordine nei quaderni. Ma questa è un’altra storia: o scontano una “tara” paterna, come nel caso mio, o sono semplicemente figli dell’era del disordine.

«Il cervello in giovane età – ha spiegato Sigman ai giornalisti anglosassoni – ha bisogno di essere innescato attraverso esperienze in 3D, da maturare nel mondo reale». Chissà, ora finisce che il computer appartiene all’iperuranio o al mondo della fantasia a due dimensioni, anziché essere sulle scrivanie o sulle ginocchia di milioni di persone. Oppure è solo un problema di mediazione culturale quello che mi rende incomprensibile questa teoria psicotecnofobica: i pragmatici anglosassoni stanno al pallottoliere come gli astratti italiani all’interazione mediata da un mouse? Mi sa di poco credibile. Ma, lo ammetto, non sono uno scienziato della Royal Society of Medicine.

Scopro poi, grattando un po’  dentro la notizia, che la veemente presa di posizione di Sigman nasce come atto di ostilità  al nappy curriculum,voluto dai Laburisti britannici, che introduce l’uso del pc e di altre tecnologie sotto i 5 anni nella didattica del Regno Unito. Come? Impegnando i docenti ad insegnare ai piccoli ad accendere tv e computer sin dai 22 mesi. Sì, ho letto bene: dovrebbero insegnargli a far qualcosa di equivalente ad accendere o spegnere l’interruttore della luce. Ora – a parte la banale obiezione che queste azioni sembrano a noi gente della strada assai “pratiche” – qualcuno dovrebbe poter chiarire agli stessi parlamentari di Sua Maestà, e non solo agli psicotecnofobi, che accendere/spegnere i piccoli lo sanno già fare. E senza che nessuno glielo spieghi. Ci arrivano da soli. Non hanno neanche bisogno dello psicologo.