Immagina di lavorare all’estero. E di lavorare in regola. I tuoi contributi previdenziali finiranno in un conto gestito dallo Stato. Siccome da quelle parti “sono seri”, ed anche perché – facendo diversamente – visto l’invecchiamento della popolazione rischierebbero di far saltare la cassa (pochi giovani a lavorare, tanti anziani a incassare), immagina pure che i gestori del tuo conto all’estero utilizzino il sistema contributivo. Detto in soldoni: tanto versi, tanto ti riprendi. Con gli interessi e rivalutazione. Esattamente come da qualche anno è in Italia per chiunque lavori “in regola”.

Ora, però, immagina di voler rientrare in Patria e quei soldi, i tuoi soldi accantonati, se li tenga lo Stato nel quale hai lavorato. Minimo ti incavoli, per usare un eufemismo. Al che, se le cose stanno così, sai che te ne importa di esser in regola? Nulla. Anzi, evitando di far versare i contributi che non riprenderai mai “costi di meno” al datore di lavoro e fai meglio concorrenza a tutti gli altri lavoratori – quelli “nazionali” – nell’accaparrarti un posto.

E’ questa la situazione, a parti rovesciate, che vivono i lavoratori stranieri in Italia: tanto versano, niente riprendono – se rientrano in Patria. L’aspetto esilarante è che solo l’idea di porre fine a questa ingiustizia – perché se toccasse a noi o ai nostri figli così la vivremmo – ha fatto sollevare i soliti volantini di propaganda (chiamarli giornali sarebbe troppo onore). Su questi fogli è tutto un agitarsi: “Faranno fallire l’Inps” gridano allarmati. Non val la pena entrare nel merito delle ragioni di tante paure, o dei retropensieri di questa o quella fazione. Ma basterebbe vedere freddamente la faccenda.

Messo a parte che il dissesto dell’istituto di previdenza italico ha radici profonde, legato ad una logica per la quale i giovani lavoratori avrebbero dovuto pagare le pensioni di quelli a riposo (anche baby), l’aspetto paradossale è altro. E sta tutto nella contraddizione che vivono gli agitatori di popolo.

L’irrecuperabilità dei contributi, non solo agevola il lavoro “nero” – visto che al “forestiero” esser in regola non porta nulla sul piano previdenziale – e altera la concorrenza tra coloro che cercano occupazione, ma non fa neppure pagare tasse a chi in Italia viene a vivere (primo paradosso). Infine, se hanno trascorso una vita di lavoro in Italia questo dover perdere la pensione cui avrebbero diritto – perché sono soldi loro messi da parte, va ripetuto – potrebbe spingerli ancor di più, oltre che per aver costruito (giustamente) una rete di relazioni umane e bei rapporti, trattenersi anche in vecchiaia (secondo paradosso).

Semmai ci sarebbe da chiedersi – e cautelarsi – che ciò avvenga a parità di condizioni circa i minimi contributivi. Ma no, nulla di questo, perché – si sa – la fobia acceca. Fino a farsi male da soli.