Henry Jenkins da una foto di Schröedinger's Cat/jmm kazi
Henry Jenkins da una foto di Schröedinger's Cat/jmm kazi

Social network, internet e new media. Su questo argomento il 32% dei candidati ha scritto il proprio saggio breve di Maturità. Ma se apro i libri di testo dei miei figli trovo l’informatica relegata tra le materie scientifiche. C’è di peggio: le sezioni dove si osa parlare di comunicazione nulla hanno a che vedere con il web. Anche quello liquidato tra chi ancora considera il computer, letteralmente, un “calcolatore”. Se non una calcolatrice intelligente. Né le cose migliorano dopo, figurarsi di insinuare che si tratta di argomenti umanistici come il latino. Per confermare questa nefasta impressione basta solo guardare le materie del neonato Liceo Scientifico ad indirizzo tecnologico: la lingua di Seneca è stata cancellata. Non serve, evidentemente.

Ma alla Maturità si chiede ai ragazzi di parlare di cose delle quali i loro prof probabilmente non dovrebbero saperne istituzionalmente un tubo: non figurano nel programma di studio. Basti a segnare che un saggio di comunicazione è stato inserito nell’area tecnica. E, se ne sanno, i pur bravi insegnanti, lo devono alla loro personale cultura. Fatto sta che i ragazzi dovranno essere giudicati nell’esame più “importante” da gente che, giustificatamente, potrebbe non saper di cosa si parla. Mario Morcellini ha definito il tema «una parentesi di finta modernità», che certo non smentisce «l’ignoranza e impreparazione della politica italiana». E’, d’altronde, la stessa perversa logica che ha costretto quei docenti di alcune medie a suggerire soluzioni agli esaminandi di terza: troppo difficili le prove Invalsi, quelle uguali in tutta Italia? Dopo averli allevati tra la bambagia, il Ministero ha voluto fare un olocausto dei novelli “somari”? O ci voleva troppo a proceder per gradi e sottoporre questo genere di prove (diverse da temi, problemi ed esercizi vari cui i ragazzi sono abituati) durante gli anni di scuola o preparare magari meglio quei docenti che si sono spaventati loro di fronte a test che altri hanno giudicato fattibili e coerenti con i programmi?

E’ modernismo anche il voler dimostrare che la scuola è seria perché fa esami difficili, non c’è che dire. E il tema sui new media va un po’ nella stessa direzione. Una mossa che «se non accompagnata da una politica educativa adeguata – ha detto Morcellini – è solo soggezione ai media». Ora va di moda tra i media mainstream parlare di Facebook? E allora facciamo il tema sui social network. Qualcosa questo che deve essere nel Dna dei vertici nazionali della scuola italiana: l’articolo di giornale all’esame di Stato, quando venne introdotto, piombò addosso a studenti e professori che mai avevano scritto e valutato un testo del genere. Ne uscì quello che chiamai – in una tesina (proprio con Morcellini tutor, guarda i casi della vita) divenuta pure dissertazione/lezione universitaria – un nuovo genere: l’articolo immaginato. Né carne, né pesce, si doveva fingere di scrivere per un pubblico di lettori quando in realtà si scriveva per il professore che avrebbe giudicato il testo, magari immaginando come costui – non formato al giornalismo – avrebbe ritenuto che si dovesse scrivere un articolo di giornale. Non era schizofrenia testuale, ma poco ci mancava.

Non che gli estensori delle prove siano degli sprovveduti. I testi traccia sono, tra gli altri, a firma di Castells, De Kerckhove o Giovanni Boccia Artieri. Quindi serissimi. Anzi, proprio la citazione di Boccia Artieri rimanda ad un libro del loquace Henry Jenkins – “Fan, Blogger e Videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale” – che assieme a “Cultura convergente” meriterebbe di essere messo sui banchi di scuola. Un grande passo in avanti, non c’è che dire. Ma il punto sta qui: quel libro nelle aule delle Superiori non c’è entrato. E se ci entrasse – proprio come ai tempi delle diatribe tra alta e bassa cultura – potrebbe provocare un moto di ribrezzo ai tanti fan della cultura del libro come contrapposta a quella dello schermo. Quegli stessi che domani giudicheranno il tema su social network, internet e new media. Se fossi studente, potrei provare un certo senso di panico.

Aggiornamento al 26/06/2009

Giovanni Boccia Artieri ha lanciato un appello a quei prof a proposito dei saggi brevi da correggere: «Leggeteli allora con i loro occhi, leggeteli come “conversazioni dal basso” e misurate le loro idee e competenze, ma senza pregiudizi». C’è una speranza: che quei docenti i quali si chiederanno chi è GBA ed incappino – usando Google – nel suo blog… Nel frattempo ha chiesto alla Gelmini di poter studiare cosa hanno scritto i ragazzi: sarebbe un formidabile spaccato etnografico e culturale dell’Italia.