Io e il mio doppio non stiamo assieme da parecchio tempo. Eppure sfogliando un saggio sull’umanità accresciuta trovo il mio “secondo” citato in bibliografia (e ringrazio l’autore per suo conto). La sensazione è contrastante. E’ come se qualcuno mi avesse soffiato la paternità di quanto scrissi. Ma se quel “qualcuno” è il nome del mio avatar, d’altro canto la penna è la mia. In realtà della citazione c’è qualcosa che mi lascia interdetto un po’ di più che non la semplice indicazione. E’ il sapere quel testo affidato ad un pdf, oggi ospitato in un hard disk in rete. Un domani, chissà. Magari sarà spento, rendendo irreperibile l’articolo citato. Questa precarietà dello scritto digitale mi inquieta. Poi immagino che nella rete il testo si sia propagato in forme diverse diventando così “permanente” e reperibile. Lo sarebbe di sicuro, se fosse stato copyleft, unica àncora di salvezza – constato con sempre maggior convinzione – dell’insostenibile evanescenza del web.