Foto di lawgeekImmaginiamoci un mondo senza YouTube. Scomparirebbero i ragazzini che devastano una scuola romana per girare un video. Non avremmo più da vedere insegnanti palpeggiate in classe o disabili maltrattati in differita. Una vecchia televisione generalista non si lamenterebbe, davanti ad un tribunale, di aver perso 315.672 giornate di visione da parte degli spettatori. Se infatti il diavolo esiste (ed esiste), insomma, per i detrattori della tv web trasmette di certo su YouTube.

Eppure – senza la televisione di Google – non avrei mai potuto seguire Marc Prensky ad una conferenza troppo lontana, far vedere ai miei figli cosa era quel Carosello dopo il quale, noi genitori allora bambini, andavamo a letto. O il mio collega di scrivania potrebbe considerare definitivamente perso quel goal mirabolante in Bundesliga. Dico di più: senza YouTube – la cui inutilità può essere davvero sublime, vista la caotica apoteosi del blob globalizzato che rappresenta – non avrei potuto visionare i Star Wars fan movies, emblema della cultura convergente cantata da Jenkins, di quel remix dei prodotti e dei format pur sempre protetti da copyright.

Proprio in questi giorni a Sapporo, per iCommons, si è parlato di quanto il diritto d’autore sia diseconomico per la società, del suo produrre “scarti”, del suo disperdere risorse. Questo dovrebbe bastare a far riflettere. Ma l’alzata di scudi fatta, tanto in Spagna (con Telecinco) che in Italia, è destinata ad avere – a detta del presidente della Siae, Giorgio Assumma – ben altri imitatori tra i dominatori dell’etere (quali?). Il vulnus, ad esser realistici, non è però il mancato introito degli spot: è difficile dimostrare che quelle trasmissioni, già andate in onda, avrebbero procurato un ulteriore guadagno se non replicandole. Cosa che Canale 5, Rete 4 ed Italia Uno potrebbero fare sin da oggi.

Semmai il “punto” potrebbe essere l’emorragia di pubblico. Non ci vuol però molto per capire che neanche questa interpretazione regge: l’Auditel non misura il reale quantitativo di spettatori, l’audience è piuttosto un fantoccio di cui le reti tv hanno disperatamente bisogno. Rimandare in onda qualcosa già disponibile su YouTube non sottrarrebbe pubblico, anche perché sul sito di Google possono esser trovati solo spezzoni dei video. Anzi, potrebbe venire il sospetto che questi assumano il ruolo del trailer. Ma questo sembra sfuggire agli uffici legali delle aziende televisive.

Allora quale è lo scopo della rivendicazione davanti al giudice?Forse – ed aggiungiamo tutti i “se” possibili – il timore è che YouTube (più di blip.tv o della stessa Google Video) acquisti pubblico, che cresca nel panorama del mercato pubblicitario portando in dote un’audience molto più segmentabile di quella fittizia offerta dai meter e dai campioni di ascoltatori. Se il mercato del digitale terrestre e, soprattutto, quello via etere è controllabile perché resta in mano alle aziende tv la funzione del gatekeeping tra collettività dei produttori e pubblici, non altrettanto può dirsi per quello di chi consente – per lo meno in teoria – a chiunque di mettere materiale “in linea”. In compenso il bacino cui attingere per sponsores che vogliano mirare direttamente ad un pubblico ben selezionato si allarga a dismisura. E questo spaventa la cara vecchia tv commerciale.

il cannocchiale