Traumatizzare i bambini è criminale. Metterne in crisi le certezze linguistiche un delitto verso il domani. Bisognerebbe evitare di scompaginare loro le poche pagine di dizionario che sembrano dominare. Eppure, in questo mondo, non sai più chi possono incontrare per strada. Che rispondere infatti a tuo figlio quando – di ritorno da un passaggio in auto sul lungotevere – ti interroga: «Papà, cosa significa femminicidio»?

Sì, femminicidio. Va in crisi non solo il correttore ortografico del wordprocessor, ma anche quella che credevi essere una tua convinzione profonda: la lingua è un organismo vivente, che cresce e si trasforma. Questo stupro concettuale vorrebbe significare, secondo gli autori, che si sta parlando dell’uccisione di una donna. Un reato orribile, per carità. Contro il quale costoro si schierano. E, ovviamente, anche io.

Usare però il termine femina in contrapposizione a quello di homo – in latino essere umano – è come dire di esser contrari all’uccisione delle femmine. Quindi “no” alla soppressione di tutti gli animali di quel sesso? Non credo sia questa è l’intenzione di chi ha coniato questo assurdo neologismo (di derivazione antropologica americana). Ma questo fa. Non riesco a non ribellarmi.

Nello sforzo di dar un senso alle parole, ma anche di mantenermi nel buon gusto linguistico, ho sempre evitato come la peste espressioni quali “assessora” o “sindaca”. Non esistono in italiano, seppure essendo la lingua un organismo vivo presto vi entreranno. Grandi danni, oltre a quelli della cacofonia, non ne produrranno. Ma un termine sbagliato nella “radice”, temo di sì.

Ed eccomi allora che mi tocca lottare contro questo termine insidioso: femminicidio. Mi sa brutto pure a vederlo scritto. Perché è insidioso? Con 54 delitti fino ad oggi nei confronti di  donne (non femmine tout court, sia ben chiaro) è facile prendere la croce del maschilista sulle spalle. Di quello che per amor di Crusca offende le donne. Ma le donne sono “persone”, non “femmine”. Esattamente il contrario di quella “mercificazione” del corpo delle donne che si è giustamente combattuta, seppur talora scivolando nel moralismo, e che ora trova una prosecuzione nella battaglia contro il “femminicidio”. Risparmiamo però, in questa giusta guerra al crimine e per il rispetto degli esseri umani di sesso femminile, la lingua italiana e le sue radici. A meno che non si dimostri che gli antichi abbiano detto Homo homini lupus e pure Femina feminae lupa